Britti, 'Sanremo non mi vuole, io continuo a suonare'

Le dita si muovono incessantemente come fossero sempre impegnate sulle corde della chitarra, mentre lui - Alex Britti - si racconta in uno studio di registrazione a Trastevere, nel cuore di Roma. Si parla dei nuovi progetti, dei festeggiamenti dei 27 anni di It.Pop (il disco che gli ha dato il successo nel 1998) "perché a fare festa a 25 o a 30 sono bravi tutti, io festeggio il non-anniversario", che diventa Feat.Pop con duetti a ridar vita alle 13 canzoni che lo compongono, del concerto alle Terme di Caracalla in programma il 22 giugno "l'unico palco, insieme all'autogrill sul raccordo, che mi mancava a Roma". Non si sottrae alle domande, non si scherma dietro risposte di cortesia: va dritto al punto. Come quando si parla del festival, da cui manca da qualche anno (in gara l'ultima volta nel 2015): Sanremo. "La realtà è che non mi vogliono. In questi anni ho mandato qualche canzone, ma niente - svela il cantautore romano -. Evidentemente pago lo scotto di essere indipendente e di non avere alle spalle una major. Diciamo che non ho merce di scambio per partecipare al festival e questo rallenta i processi. È sempre più un Sanremo a circuito chiuso, con pochi manager e poche case discografiche". Dal suo punto di vista non aiuta neppure essere un cantautore, vecchio modello, nonostante la nuova spinta arrivata ad esempio con Lucio Corsi. "Per me il cantautorato è quello degli anni Settanta, cantautore per me è Francesco De Gregori - spiega -. Corsi è bravo, ma è un cantautore di oggi: molto Instagram. Arriva prima il suo personaggio, la sua faccia truccata di bianco, c'è un grande lavoro di immagine. Io faccio parte di un'altra generazione e se mi parli di cantautori non penso a Lucio Corsi, e voglio continuare a pensare a De Gregori". Sanremo a parte, "vivo lo stesso e pure bene, faccio un sacco di concerti e suono, tanto. Ho ceduto un po' di carriera per recuperare un po' di vita personale. E se il festival si guarda a casa di Federico Zampaglione per stare insieme e alzare il volume quando qualcosa ci interessa", gli impegni non mancano. Il progetto di ricantare in coppia It.Pop avrà davanti vari mesi di lavorazione: "Sono 13 canzoni, ho già contattato tutti i colleghi che vorrei avere con me. Forse serviranno sei mesi per completarlo, o anche di più. Ma non ho fretta e soprattutto non ho niente da dimostrare". Per ora sono usciti il feat con Marco Mengoni per Oggi sono io e quello con Clementino (che sarà ospite anche a Caracalla) per Solo una volta ("il brano che segnò la svolta: crebbe piano piano fino ad arrivare secondo in classifica dietro agli Aerosmith"). "Quello che sto cercando di fare è non avere solo la voce, l'ospitata di un artista, ma portare il clima il mondo sonoro dell'ospite nei miei brani. Il punto di incontro tra me e loro è la musica, io vengo dal blues ma mi hanno sempre arrapato tutti i generi. E poi tutto nasce dal blues, che è diventato funk, che si è trasformato in hip hop e poi in rap: quindi è un cerchio che si chiude. Poi, sono convinto con un po' di presunzione che con due note di chitarra mi riporto tutto a casa". Sulle altre collaborazioni per ora c'è il segreto assoluto, ma un desiderio Britti ci tiene a rivelarlo. "Sul palco di Caracalla mi piacerebbe avere Renato Zero. È lui il primo artista che ho visto dal vivo. Gli ho mandato un messaggio, spero riesca ad esserci. I suoi primi dischi li ho consumati, mi hanno influenzato nel modo di scrivere. Lui e Lucio Dalla". A sua volta, anche lui ha influenzato le nuove generazioni: "Penso a Franco126, a Fulminacci. Un'influenza involontaria, generazionale, dettata da quello che c'è nell'aria in un dato periodo". Tra i giovani un artista che apprezza molto è Alfa: "Piace tanto a mio figlio (evita di scendere nel dettaglio della vicenda che ha portato l'ex compagna a processo perché lo avrebbe spiato con una webcam per l'affido esclusivo, ndr). E anche a me. Lo trovo un ragazzo pulito che scrive canzoni dirette. Possono sembrare semplici quasi banali ma nascondono una sana profondità. Anche lui mi ha detto che ascolta la mia musica da quando è ragazzino". Ma l'approccio alla musica dei ragazzi oggi è ben diverso da quello che ha avuto lui. "A fine anni Ottanta, a Roma c'erano 50 locali di musica dal vivo - ricorda Britti -. Oggi forse trovi uno che suona per strada a piazza Trilussa: si fa tutto in cameretta e il primo palcoscenico è Instagram. E la musica dal vivo la fai già con un progetto in mano e vai in un talent. Con i rischi che ne conseguono. Degli stop di Sangiovanni e Angelina Mango si parla perché loro sono arrivati, ma ci sono tantissimi ragazzi che una volta usciti da lì, dopo un mese vengono dimenticati e finiscono in analisi. È come andare all'università senza aver fatto elementari, medie e liceo. Il Bignami non serve mai". Stesso discorso vale per i salti nel vuoto in spazi sovrastimati. "Noi artisti siamo piacioni: se ci dicono 'facciamo lo stadio', siamo gratificati. Ma bisogna anche sapere dire di no. Io lo dissi alcuni anni fa quando mi proposero i palazzetti. Se non li riempi, ti fai male e devi suonare gratis per ripagare il danno. Bisogna rimanere con i piedi per terra perché le scorciatoie non portano a nulla".
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