La Siria cerca la pace con Israele un anno dopo Assad con l’appoggio degli Usa

Dic 10, 2025 - 00:59
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La Siria cerca la pace con Israele un anno dopo Assad con l’appoggio degli Usa

Esattamente un anno dopo il rovesciamento del dittatore siriano Bashar al Assad e la genesi di un nuovo nucleo statale sotto l’autorità di Ahmed al Sharaa, la Siria cerca la pace “condizionata” con Israele, forte dell’appoggio degli Stati Uniti. Lo scorso primo dicembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato la sua soddisfazione “per i risultati ottenuti, grazie al duro lavoro e alla determinazione, in Siria”. Allo stesso tempo, l’inquilino della Casa Bianca ha avvertito Tel Aviv dell’importanza di mantenere un dialogo “forte e autentico” con Damasco, evitando atteggiamenti che possano interferire “con l’evoluzione della Siria in uno Stato prospero”. Al Forum di Doha 2025, svoltosi in Qatar il 6 e il 7 dicembre, anche la Siria, per voce del suo ministro degli Esteri, Asaad al Shaibani, ha ribadito la propria attitudine pacifica nei riguardi di Israele: “Vogliamo buone relazioni con tutti i nostri vicini, anche con Israele”, ha affermato Al Shaibani, ricordando tuttavia che la condizione per intavolare una trattativa per un nuovo accordo di sicurezza con Tel Aviv “è il ritiro delle Forze armate israeliane dagli avamposti che occupano sul lato siriano delle Alture del Golan”. Israele, ha continuato il ministro, “rappresenta oggi la sfida e la preoccupazione più grande per la Siria. Siamo contenti del supporto ricevuto dagli Stati Uniti per un accordo di sicurezza con Israele, tuttavia non possiamo raggiungere un’intesa senza che i suoi militari si ritirino dai nostri territori occupati circa un anno fa”. Anche Ahmed al Sharaa, intervenendo al Forum di Doha il 6 dicembre, ha confermato l’esistenza di negoziati con Israele, con la partecipazione degli Stati Uniti, per il ritiro delle Forze armate di Tel Aviv dalle zone che occupa nel territorio siriano. Secondo il capo di Stato della Repubblica araba siriana “i timori di Israele sono ingiustificati perché siamo noi ad essere attaccati. La Siria rispetta l’accordo di disimpegno del 1974 (siglato nell’ambito delle Nazioni Unite) e tutto il mondo sostiene il ritiro di Israele dai territori siriani occupati”, ha aggiunto Al Sharaa. Anche l’amministrazione statunitense sembra essere indispettita dai continui attacchi e incursioni israeliane in Siria. Il 2 dicembre, funzionari dell’amministrazione Trump hanno dichiarato al sito web d’informazione “Axios”, che la Casa Bianca era preoccupata che i ripetuti attacchi delle Forze di difesa israeliane (Idf) potessero compromettere le speranze di un accordo di sicurezza tra Israele e Siria. “Stiamo cercando di dire a Netanyahu che deve smetterla, perché se continua si autodistruggerà”, hanno affermato i funzionari ad “Axios”. Sempre al Forum di Doha, l’inviato speciale statunitense per la Siria Tom Barrack ha spiegato le motivazioni dietro la scelta del presidente Trump di “aprirsi” alla nuova leadership siriana. “L’atteggiamento degli Stati Uniti nella regione mediorientale è cambiato ed è passato da interferire negli affari interni a lasciare che la regione si governi secondo i propri modelli”, ha osservato Barrack. “Di fronte agli eventi occorsi in Siria (caduta del regime di Bashar al Assad), l’atteggiamento degli Stati Uniti non è stato quello di mettere sul tavolo prospettive democratiche che poco si addicono alla storia della regione, ma di concedere alla Siria la possibilità di decidere la propria forma di governo senza interferire”. Al Forum di Doha, Barrack ha quindi esplicitato l’impostazione di fondo della politica estera statunitense in Medio Oriente: lo standard di democraticità dei Paesi della regione non deve essere il criterio che determina se gli Stati Uniti debbano offrire o meno il loro supporto. “Questo è il momento in cui gli Stati Uniti devono smettere di essere un ostacolo per il Medio Oriente. Negli ultimi 20 anni non siamo riusciti a trovare una soluzione. La filosofia del mio capo (Donald Trump) è la stessa: è tempo che la regione si sostenga a vicenda nella risoluzione di questi problemi e che noi smettiamo di essere un ostacolo”, ha spiegato Barrack a Doha. Nel loro progetto di re-inserimento della Siria nell’arena internazionale, gli Stati Uniti godono del supporto fornito dal Qatar, alleato fondamentale di Washington in Medio Oriente, anche dopo il raid israeliano a Doha il 9 settembre con l’obiettivo di eliminare la leadership del gruppo islamista palestinese Hamas. Sempre nella cornice del Forum di Doha, Mohammed bin Abdulaziz al Khulaifi, ministro di Stato del Qatar, ha definito “intollerabile” l’aggressione di Israele in Siria. Al Khulaifi ha poi ampliato il suo discorso sullo Stato mediorientale, mettendo in risalto quanto l’aspetto di sicurezza sia cruciale per il prosperare della Siria: “Il Qatar invita la comunità internazionale a coordinarsi sul dossier delle aggressioni israeliane in Siria per prevenire ulteriori escalation. Onestamente credo ci sia speranza per la Siria: i prossimi mesi saranno cruciali per quanto riguarda l’intensificarsi dei rapporti e Doha è pronta a giocare questo ruolo. Bisogna lavorare a stretto contatto con il governo siriano, soprattutto per affrontare le questioni di sicurezza che sono un aspetto dirimente”, ha affermato il ministro di Stato qatariota. Un altro tema che inficia le prospettive di stabilità della Siria è la questione dell’integrazione delle Forze democratiche siriane (Fds, coalizione di milizie che controlla il nord-est del Paese) all’interno della nuova struttura statale. Al Forum di Doha, Barrack ha fatto capire che gli Stati Uniti sembrano non gradire molto una soluzione politica “decentralizzata” per la Siria: “La decentralizzazione (del potere politico) non ha mai funzionato nel Medio Oriente. Federalismo, decentralizzazione, democrazia, sono scenari non applicabili alla regione. Il presidente Trump ha studiato la situazione, fatto valutazioni basate su informazioni che venivano dal campo di analisi, è ha scelto che (la forma politica) su cui si deve costruire questa regione ruota intorno a leadership carismatiche”, ha detto Barrack, riferendosi alla figura di Ahmed al Sharaa. Di diverso avviso le Fds, con il loro comandante, Mazloum Abdi, che ieri (6 dicembre) ha affidato al quotidiano “The Jerusalem Post” la sua visione sul futuro dei rapporti delle forze curde con gli Stati Uniti: “L’aiuto di Washington è essenziale per la decentralizzazione del potere in Siria. Il presidente Trump vuole rendere la Siria di nuovo grande. Per farlo, deve sostenere le Fds che devono essere incluse nella coalizione globale contro lo Stato islamico (Is) e devono essere incluse nel nuovo governo della Siria”. Abdi ha anche avvertito gli Stati Uniti di essere cauti per quanto riguarda la rimozione delle sanzioni alla nuova amministrazione di Al Sharaa: “Il sostegno Usa deve essere condizionato e, al momento, non ci sono le condizioni. Conosciamo Ahmed al Sharaa da quando guidava Hayat Tahrir al Sham. Conosciamo bene la natura delle sue forze”, ha osservato Abdi, aggiungendo che “non sappiamo ancora se diventerà più forte o più debole (Al Sharaa) e il 2026 sarà un anno decisivo”. Al Sharaa “sta cercando di convincere l’Occidente a dare alla Siria una nuova possibilità, ma ci sono ancora preoccupazioni reali sul terreno. A Latakia, 2 mila alawiti sono stati uccisi. A Suwayda, mille drusi sono stati uccisi”, ha chiarito Abdi, riassumendo tutti i dubbi che serpeggiano nella società civile siriana sul rispetto dei diritti delle minoranze e delle donne. Secondo un sondaggio di Arab Barometer, rete di ricerca no-profit, in collaborazione con il partner locale RMTeam International, sottoposto a “1.229 siriani adulti selezionati casualmente”, un anno dopo la caduta di Bashar al Assad, il sostegno dei cittadini della Siria al nuovo governo “è geograficamente molto disomogeneo”. Per quanto riguarda le risposte raccolte tra i cittadini di Latakia e Tartus, dove vivono ampie comunità alawite, e di Sweida, che ospita la maggiore concentrazione di drusi — due tra le principali minoranze etnico-religiose della Siria — i risultati si discostano sensibilmente dalla media nazionale. A livello macro, la leadership statale è popolare nella maggior parte dei governatorati. In base al sondaggio: l’81 per cento dei siriani ha fiducia nel presidente Ahmed al Sharaa; il 71 per cento ha fiducia nel governo nel suo complesso; il 62 per cento nei tribunali e nel sistema giudiziario; e il 71 per cento appoggia le forze armate. Tuttavia, a Latakia, Sweida e Tartus la fiducia nel governo nazionale (36 per cento), nei tribunali (33 per cento), nell’esercito (22 per cento) e nel presidente Al Sharaa (36 per cento) è molto più bassa rispetto al resto del Paese. I siriani che vivono in queste tre zone, secondo il sondaggio, non credono inoltre di godere di ampie libertà personali: meno della metà pensa che siano garantite la libertà di parola (31 per cento), di stampa (34 per cento) e di riunione (16 per cento). Solo il 35 per cento degli abitanti di queste aree ritiene che il governo risponda ai loro bisogni e solo il 41 per cento è soddisfatto delle prestazioni dell’esecutivo. È bene ricordare che il governo di Assad era dominato dagli alawiti e privilegiava sistematicamente il proprio gruppo e, in certi periodi, anche alcune altre comunità minoritarie.

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Redazione Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore di Radiocom.tv