Messico: urne aperte per eleggere l’intero corpo della magistratura
I messicani sono chiamati a votare per rinnovare l’intero corpo della magistratura nazionale: circa duemila cariche, da quella di membro della Corte suprema a quella di giudice del tribunale di periferia, cui aspirano oltre settemila candidati. Un esperimento unico, frutto di una delle ambiziose riforme istituzionali volute dall’ex presidente Andres Manuel Lopez Obrador, ma tutt’altro che esente da critiche: dalla mancanza di selettività nella presentazione delle candidature alle presunte indebite pressioni del partito di governo Morena (Movimento di rigenerazione nazionale), dalla complessità delle procedure di voto ai sospetti di infiltrazioni nel potere giudiziario, sono molte le polemiche sollevate dall’appuntamento che l’attuale presidente Claudia Sheinbaum e gran parte dei suoi sostenitori presentano come alto esercizio di democrazia. Le maggiori attenzioni sono poste sull’elezione dei nove membri della Corte suprema (Suprema corte de justicia de la nacion, Scjn) e per le altre cariche apicali della magistratura: i due magistrati a capo del tribunale elettorale – organo che risolve le controversie elettorali – e i 15 membri delle sezioni regionali di questo stesso tribunale. A questi, oltre ai cinque membri che integrano la corte interna che amministra e controlla i magistrati, si aggiungono i 464 magistrati “di circuito”, tribunali d’appello, e i 386 di primo grado (“di distretto”). Funzionari del presente e passato governo hanno a più riprese sottolineato il valore di un voto che punterebbe – tra le altre cose – a rendere la magistratura un corpo meno elitario e quindi più permeabile alle esigenze della popolazione, principale se non unica fonte di potere nel sistema democratico. Va ricordato che la decisione di scegliere con elezione diretta i giudici è parte di una riforma che prevede – tra le altre cose – tagli al personale complessivo della magistratura e l’impossibilità che un giudice possa percepire uno stipendio maggiore a quello del capo dello Stato. Ma sin dall’apertura della campagna elettorale, a fine marzo, l’intero processo ha dovuto affrontare critiche di vario genere. Ricorrenti quelle secondo cui il minimo dei requisiti richiesti – laurea in diritto, un minimo di esperienza nel settore e una fedina penale pulita – non abbia impedito candidature di persone carenti di preparazione se non macchiati dal sospetto di essere ai confini della legge. Il timore è quello di garantire alla potente criminalità organizzata locale nuove opportunità di orientare l’azione della magistratura. Un candidato “è stato oltre cinque anni in una prigione statunitense per aver cercato di vendere metanfetamine. Un altro si è visto coinvolto in uno scandalo su giornalisti uccisi a colpi d’arma da fuoco. Almeno quattro hanno affrontato indagini per reati come abuso sessuale o delinquenza organizzata”, sintetizza tra i tanti il “The New York Times” in un articolo di presentazione del voto pubblicato giovedì 29 maggio. Errori e sviste fisiologiche in un sistema in rodaggio, assicurano i funzionari di governo: “Tutti i processi sono perfettibili, tutti. Ma dal nostro punto di vista è meglio procedere in questo modo rispetto a quello che avevamo prima o che abbiamo ancora, dove c’è nepotismo o corruzione”, aveva detto a metà aprile Sheinbaum. “Stiamo parlando di percentuali infime, minuscole, tra tutti i candidati che hanno superato il processo di selezione”. Voci critiche si sono levate anche contro i presunti abusi compiuti dal partito di governo Morena nell’intero processo: una strategia che risponderebbe al disegno attribuito a Lopez Obrador di sterilizzare il “contrappeso” della magistratura all’azione riformista del governo. Si è discusso della presunta pressione esercitata sulle opposizioni per far approvare la riforma da cui ha origine l’elezione di domenica, così come di una eccessiva presenza del partito di governo Morena nei collegi incaricati di esaminare le candidature, o di una rotta erratica nel delineare le regole del gioco, in parte attribuita ai tagli al finanziamento dell’autorità elettorale (Ine). Un sistema che rivelerebbe le sue inadeguatezze nella complessità del sistema approntato per il voto: gli elettori, a seconda degli Stati di appartenenza, potrebbero ricevere fino a sei schede, apparentemente di non facile lettura, con decine se non centinaia di nomi tra cui orientarsi. Ed è in questo contesto che è montata la polemica sui cosiddetti “acordeones”, dei vademucum cartacei e virtuali attraverso i quali figure anche rilevanti di Morena indicano agli elettori come orientarsi nella selva delle candidature. La giurisprudenza dell’ultima ora avverte che portare con sé “appunti” a mo’ di guida per il voto non è proibito, a patto che non sia sottesa una minaccia o una coercizione in caso non siano seguite le indicazioni in arrivo da terzi. Elemento questo che sembrerebbe negare l’ingresso degli “acordeones” nei seggi.
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