Permesso di soggiorno: il rilascio o rinnovo sottoposti a giudizio prognostico ex ante

In Italia, ottenere o rinnovare un permesso di soggiorno non è una mera formalità. Non basta timbrare un modulo e incrociare le dita. Dietro ogni decisione c’è una valutazione che guarda avanti, una sorta di scommessa sul futuro. È il cosiddetto giudizio prognostico ex ante, una formula giuridica che, tradotta in parole semplici, significa: “ci fidiamo di te per quello che potresti fare, non solo per quello che hai fatto”.
La Corte Costituzionale ha messo il dito nella piaga con la sentenza n. 88 del 2023. Un richiamo netto: non si può negare il permesso di soggiorno solo perché, in passato, c’è stata una condanna. Soprattutto se quel reato è di lieve entità o risale a tempi lontani. Perché? Perché le persone cambiano. E lo Stato di diritto ha il dovere di valutare ogni storia in modo concreto, non schematico.
Eppure, troppo spesso, l’automatismo prende il sopravvento. Una condanna e scatta il diniego. Ma la Costituzione non è un optional. E quel giudizio sul “pericolo” che una persona rappresenterebbe, deve basarsi su fatti attuali, atteggiamenti, percorsi di vita, non su una fotografia sbiadita di un errore passato.
Chi decide se uno straniero può restare in Italia, non può comportarsi come un contabile che fa la somma delle condanne. Non è una questione di numeri, ma di senso, di contesto, di storie vere. Il Consiglio di Stato ha detto chiaramente che servono valutazioni profonde, sfaccettate quando si giudica il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno. E che il comportamento complessivo di una persona conta più delle sue macchie.
C’è chi ha sbagliato, è vero. Ma ha anche lavorato, si è rifatto una vita, ha una famiglia. Ha messo radici. Eppure, anche davanti a tutto questo, a volte la pubblica amministrazione chiude gli occhi e si rifugia dietro a un articolo di legge interpretato in modo rigido. Come se una norma potesse raccontare tutto di un essere umano.
In realtà, la legge stessa – quella vera, quella interpretata alla luce della Costituzione – chiede di guardare oltre. Chiede di soppesare ogni elemento: l’inserimento lavorativo, la partecipazione alla vita sociale, i legami familiari, i segnali di reinserimento. Perché essere stranieri non significa vivere sotto esame permanente. E perché la dignità non va negoziata.
I giudici accendono la luce dove l’amministrazione inciampa
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