Assegno di inclusione 2025: tra regole, realtà e nuove rotte

Non è la prima volta che lo Stato ci prova a dare una mano vera, concreta, a chi ha poco o nulla. L’assegno di inclusione 2025, con tutto il peso delle sue parole, prova a farlo. Ma stavolta con un piglio diverso. Più tecnico, più mirato. È il successore annunciato – e forse già discusso – del Reddito di Cittadinanza. Solo che qui, non si parla più di “reddito”, ma di inclusione, come se l’economia bastasse a spiegare la solitudine di certe famiglie.
Le cifre non mentono, ma neanche dicono tutto. Il massimo teorico, quello che fa gola nei titoli dei giornali, tocca 845 euro al mese per chi vive da solo e paga un affitto salato. Sulla carta, può sembrare molto. Nella pratica, fa i conti con bollette, rincari, incertezze. L’obiettivo, però, è chiaro: non solo denaro, ma percorsi: di reinserimento, di formazione, di cambiamento.
Chi ne ha diritto?
Chi entra nel cerchio dell’assegno di inclusione 2025? Non tutti, ovviamente. Ci sono paletti, alcuni alti, altri stretti. Si comincia da un principio vecchio quanto lo Stato moderno: cinque anni di residenza, almeno due continuativi. E serve un documento che dica che ci si può stare, qui, a tempo indeterminato.
Poi viene l’ISEE, deve stare sotto i 10.140 euro. Ma non basta. Serve anche che il reddito effettivo, quello calcolato secondo formule che nemmeno i più esperti riescono a spiegare senza sudare, sia inferiore a 6.500 euro all’anno. Una soglia che si alza un po’ per gli anziani e per chi convive con disabilità serie, ma che resta bassa, soprattutto in certe regioni.
Infine, serve un motivo forte. Un figlio piccolo, un genitore non autosufficiente, una disabilità grave, o magari un’età avanzata. L’aiuto non è per chiunque. È per chi ha addosso il peso di qualcun altro, o di una disabilità personale.
Le novità che fanno notizia
Nel 2025, qualcosa è cambiato. E non solo nei numeri. Anche nel modo di guardare ai destinatari. Lo Stato ha alzato le soglie, ma non per generosità improvvisa. Lo ha fatto perché i tempi cambiano, il costo della vita sale, e i bisogni non restano fermi ad aspettare.
L’ISEE è cresciuto, da 9.360 a 10.140 euro. E il tetto massimo di reddito è salito di 500 euro. Una boccata d’aria per chi, fino a ieri, restava fuori per poche centinaia di euro. Anche gli affitti pesano meno, nel calcolo. Chi ha un contratto registrato e dimostra di spendere ogni mese per avere un tetto sopra la testa, riceve qualcosa in più.
Le due facce dell’aiuto
Non si riceve un bonifico. Non arriva una busta paga. L’assegno si presenta sotto forma di una carta elettronica, simile a quelle prepagate, distribuita da Poste Italiane. Si chiama Carta di Inclusione, e permette di fare spese, prelevare contante (entro limiti ben definiti), pagare utenze e affitti. Niente lusso, niente viaggi, niente spese pazze. È un aiuto destinato al necessario, e controllato nel dettaglio.
Anche il prelievo è contingentato. 100 euro al mese per un singolo, di più se si è in famiglia. Ma resta comunque una cifra che impone una gestione attenta, una selezione precisa delle priorità. Come dire: ti aiutiamo, ma stai attento a come spendi.
I tempi dell’attesa
Nel 2025, l’orologio dei pagamenti ha continuato a scandire le sue date. A maggio, due tranche: una il 15, per chi vede arrivare il primo accredito; l’altra il 27, per chi è già dentro il circuito. Le altre mensilità seguono a ruota, sempre a fine mese, salvo eccezioni burocratiche.
Ma il calendario non è solo una formalità. Diventa, per molti, un orizzonte. Si aspettano quei giorni come si aspetta lo stipendio, o una risposta importante. Con l’ansia di chi non ha margine. Perché anche un giorno di ritardo, per chi vive sul filo, può cambiare l’umore, i piani, o cosa mettere a tavola per cena.
Domanda, trafile, ostacoli
Per ottenere l’assegno, serve pazienza e precisione. Si può fare tutto online, attraverso il portale dell’INPS. Oppure si può chiedere aiuto a un CAF o a un patronato. Ma attenzione: la domanda non è un semplice modulo. È un mosaico di documenti, incastri, autocertificazioni. Basta un dettaglio fuori posto, e tutto si ferma.
Serve l’ISEE, aggiornato. Serve il documento d’identità, la residenza, i dati di tutti i familiari. E per chi non è cittadino italiano, serve anche il permesso di soggiorno europeo di lungo periodo.
Cosa resta fuori
Fuori dal perimetro dell’assegno restano i single under 60 senza disabilità, i lavoratori poveri e gli esclusi per non avere compilato correttamente la domanda. Il rischio, ogni volta che si crea una misura selettiva, è che si lascino fuori i borderline. Quelli che hanno bisogno, ma non rientrano nel disegno tecnico.
E poi resta il tema del lavoro. L’assegno è pensato anche come ponte. Ma il ponte dove porta? Se il territorio non offre percorsi reali, l’inclusione resta sulla carta. E i corsi di formazione, senza sbocchi, diventano parcheggi obbligatori. Non basta il sostegno. Serve un ecosistema che funzioni. Che accompagni, che accolga.
Considerazioni finali
L’assegno di inclusione 2025 è un tentativo. Uno dei tanti, certo, ma non privo di ambizione. Ha numeri precisi, limiti chiari, obiettivi dichiarati. Cerca di trovare un equilibrio tra il sostegno e la responsabilità. Tra l’aiuto e l’attivazione.
Funziona? Dipende da chi lo riceve, da chi lo gestisce, e da come viene percepito. Ma intanto c’è. E per migliaia di famiglie, fa la differenza tra il buio totale e un piccolo spiraglio.
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