Carburante bloccato e trasporti a rischio: il Mali adotta un piano d’urgenza
Il Comitato interministeriale per la gestione delle crisi e dei disastri del Mali (Cigcc) ha convalidato un piano d’azione governativo per porre fine alla carenza di carburante che sta paralizzando il Paese. Il Comitato si è riunito lunedì sera a Bamako ed è stato presieduto dal primo ministro, il generale Abdoulaye Maiga: il piano vuole rappresentare una risposta alla carenza di carburante, mira a ripristinare le forniture e a stabilizzare “in modo sostenibile” il mercato degli idrocarburi.
La riunione si è concentrata esclusivamente sulla crisi energetica: l’obiettivo era rivedere gli assi strategici del piano d’azione sulla gestione degli idrocarburi, una questione diventata prioritaria per il governo alla luce del deterioramento della situazione nel Paese. Da diverse settimane, infatti, i maliani si trovano ad affrontare carenze importanti nelle forniture di carburanti, che causano lunghe code fuori dalle stazioni di servizio, spesso senza carburante da giorni, e a Bamako, ma anche in altri centri urbani, la scarsità di benzina e diesel ha causato anche un calo della fornitura di energia elettrica, scesa in media a circa dieci ore al giorno. Questa crisi ha interrotto i trasporti, rallentato la produzione industriale (alcune miniere sono totalmente bloccate nell’attività produttiva) e causato un repentino aumento del costo della vita in un clima economico già teso.
Il piano d’azione adottato dal governo ieri si basa su un approccio a breve, medio e lungo termine: include la messa in sicurezza dei convogli di autocisterne (che entrano in Mali dal Senegal e dalla Guinea), la creazione di nuove strutture di stoccaggio, la creazione di “scorte dinamiche” e l’istituzione di team di controllo per garantire una distribuzione “regolare e trasparente”. Sono state anche approvate alcune agevolazioni doganali e fiscali agli operatori economici per accelerare le importazioni e sostenere la continuità delle attività delle aziende.
Sul fronte diplomatico, sono in corso trattative con i porti di Conakry e Dakar, principali punti di transito degli idrocarburi destinati al Mali. L’analisi delle difficoltà ha inoltre evidenziato l’esistenza di circuiti paralleli e pratiche speculative. Per far fronte a questo problema, il governo sta valutando un decreto interministeriale che autorizzi l’apertura permanente di stazioni di servizio, il potenziamento del sistema di trasporto verso Bamako e l’istituzione di un sistema di segnalazione per tracciare il percorso delle petroliere.
Le autorità sperano che queste misure possano gradualmente attenuare la carenza nei prossimi giorni. Se attuate, potrebbero costituire un primo passo verso una maggiore sicurezza energetica e una gestione più resiliente del settore degli idrocarburi del Mali.
Nonostante i numerosi comunicati stampa in cui il governo ha sempre negato, nelle ultime settimane, la crisi dei carburanti in corso e nonostante le attività repressive contro i rivenditori, accusati di vendere carburanti a prezzi maggiorati, il problema è concreto ed è diventato quasi insopportabile per l’economia e la società maliane. Il Mali importa oltre il 95% dei suoi prodotti petroliferi, principalmente attraverso i porti senegalesi e ivoriani, e nel Paese il consumo annuo è stimato in circa 1,3 milioni di metri cubi. L’ultima settimana di settembre, la Direzione generale del commercio, del consumo e della concorrenza ha chiuso diverse stazioni di servizio, a Bamako e non solo, per mancato rispetto dei limiti di prezzo, fissati a circa 725 franchi Cfa al litro per il gasolio e a 775 franchi Cfa per la benzina super. Queste misure normative hanno contribuito a ridurre il numero di punti di distribuzione attivi ed è evidente sia stata una mossa delle autorità per “nascondere” la penuria di carburanti nelle principali città: le stazioni di rifornimento ancora attive sono state prese d’assalto, con lunghe code, mentre le altre hanno temporaneamente cessato l’attività.
Il problema dell’approvvigionamento, tuttavia, non ha niente a che vedere con l’amministrazione e le politiche pubbliche ma è totalmente dipendente da un problema di sicurezza: la catena di approvvigionamento è attualmente indebolita dai ripetuti attacchi da parte di gruppi armati, in particolare del Jnim (Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin, affiliata ad al-Qaeda), contro le autocisterne sulle principali autostrade. A settembre, diverse decine di veicoli sono stati distrutti, dati alle fiamme, sulla tratta Kayes-Bamako, causando perdite umane e un significativo rallentamento della logistica, attacchi che hanno costretto le autorità a scortare i convogli e a riorganizzare le rotte di consegna e la logistica delle scorte militari, con importanti ripercussioni anche sugli altri teatri di guerra.
Per queste ragioni, il Cigcc si era già riunito il 6 ottobre, definendo quattro questioni principali: la messa in sicurezza dei convogli di autocisterne, il coordinamento delle azioni con i trasportatori, la protezione delle infrastrutture critiche e il rafforzamento della comunicazione pubblica sulla situazione. Ma il problema resta macroscopico: non meno di 70 camion di carburante destinati alla miniera di Sadiola, di proprietà di Allied gold, sono bloccati da più di una settimana, impossibilitati a raggiungere la loro destinazione finale dalle forze militari maliane, che dovrebbero scortarle ma faticano a garantire un’adeguata sicurezza. Questa situazione ha creato un collo di bottiglia critico nella catena di approvvigionamento di carburanti: l’esercito ha bloccato autocisterne di carburante nelle città di confine, tra cui Diboli (al confine con il Senegal) e Kayes (circa 75 km a nord di Sadiola), in attesa di ricevere la scorte militare rafforzata, il cui dispiegamento tuttavia potrebbe richiedere settimane a causa della disponibilità limitata di uomini e mezzi. Solo tre autocisterne sono riuscite di recente a raggiungere la miniera di Sadiola sotto protezione militare, a dimostrazione delle gravi difficoltà nella logistica. Le attività minerarie in zone remote sono particolarmente vulnerabili: la miniera di Sadiola, situata a circa 650 km dalla capitale Bamako, si trova ora ad affrontare la diminuzione delle scorte di combustibile, essenziale per la produzione di energia e il funzionamento delle attrezzature. Con le vie di trasporto attraverso il Mali occidentale gravemente compromesse, le compagnie minerarie devono destreggiarsi tra complesse misure di sicurezza e lunghissime soste per garantire l’operatività. Questa situazione rientra in una più ampia strategia militare dei gruppi jihadisti, volta a controllare i principali corridoi di trasporto e a isolare economicamente le regioni sotto il controllo governativo: l’incapacità dell’esercito di garantire la sicurezza di queste rotte in modo costante ha creato incertezze operative per l’andamento dell’industria mineraria nelle regioni produttrici di oro del Mali, ma anche per la grande distribuzione di carburanti in tutto il Paese, compresa nella capitale Bamako, dove molte pompe di benzina sono state chiuse giorni fa per mancanza di carburanti. La situazione generale della sicurezza impone alle attività minerarie di gestire attentamente le riserve di combustibile esistenti, negoziando al contempo con le autorità militari per ottenere supporto ai trasporti.
Il blocco del carburante rappresenta una manovra strategica calcolata da Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (Jnim), il gruppo militante legato ad al-Qaeda che opera in tutto il Mali: annunciata all’inizio di settembre, la leadership del Jnim sostiene di volere interrompere le forniture di carburante in tutto il Paese, una strategia di strangolamento economico piuttosto nuova per i gruppi islamisti che operano nel Sahel. L’azione più clamorosa è stata la prima, domenica 14 settembre, quando gli uomini del Jnim hanno attaccato un convoglio di autocisterne di oltre 100 veicoli sotto scorta militare diretto a Bamako, distruggendo almeno 80 autocisterne cariche di benzina in una sola operazione sulla Bamako-Kayes: l’attacco è avvenuto tra le città di Lakamané e Kaniera, e non era il di questo genere, è stato il più clamoroso. La strategia dei jihadisti sembra essere quella di letteralmente strangolare lo Stato maliano minando le basi della sua economia: l’asse Bamako-Kayes rappresenta un importante corridoio economico per il Mali e la subregione e le ripetute interruzioni dei flussi di idrocarburi compromettono l’approvvigionamento e indeboliscono l’economia maliana. Le statistiche del 2024 rivelano che il Mali ha importato merci dal Senegal per un valore di oltre 802 miliardi di franchi Cfa, a dimostrazione dell’importanza cruciale di questi legami commerciali.
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