Israele lancia un’offensiva circoscritta a Rafah
La più volte annunciata operazione militare israeliana a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, è iniziata tra lunedì e martedì in un’area circoscritta, proprio dopo che “a sorpresa” il movimento islamista che governa l’enclave aveva notificato ai mediatori di Egitto e Qatar la volontà di accettare l’accordo di cessate il fuoco, durante il quale dovrebbero essere liberati gli ostaggi israeliani e un certo numero di prigionieri palestinesi. Per dare seguito all’accordo servirà il via libera del gabinetto di guerra israeliano, sebbene non siano chiari i dettagli della proposta accettata da Hamas. Le uniche certezze, al momento, sono che le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno preso il controllo del versante palestinese del valico di Rafah e di un corridoio di 3,5 chilometri che separa Gaza dall’Egitto, e che le delegazioni di Hamas, Qatar e Israele sono tornate al Cairo per i negoziati. “Agenzia Nova” ne ha parlato con l’analista esperta di Medio Oriente Roberta La Fortezza, per la quale “non è possibile escludere che, nei prossimi giorni, si potrebbe assistere a un allargamento delle operazioni a tutta la città di Rafah”. L’esperta ha indicato anche gli aspetti negoziali e di politica interna sottesi all’avvio della circoscritta offensiva a Rafah, che “potrebbe essere l’ultimo atto di questo conflitto, la linea oltre la quale il primo ministro Benjamin Netanyahu potrebbe poi mostrarsi maggiormente aperto verso un negoziato”. Rafah “rappresenta per il primo ministro israeliano, e per la coalizione con cui ha governato prima dell’attuale esecutivo di emergenza, un punto centrale ed essenziale non solo nella gestione delle operazioni militari contro Hamas, ma anche nella strategia narrativa impiegata soprattutto a livello politico interno”, ha evidenziato La Fortezza nell’intervista a “Nova”. Rafah è considerata da Israele l’ultima roccaforte di Hamas nella Striscia di Gaza e “soltanto l’intera bonifica dell’area dai militanti di Hamas consentirà di sostenere, quantomeno a livello narrativo, di aver ottenuto una vittoria totale” – l’obiettivo ripetuto più volte da Netanyahu, ha affermato. Almeno da febbraio, quando cioè è stata per la prima volta prospettata un’offensiva su Rafah, sono state numerose le dichiarazioni delle autorità israeliane in cui si è chiaramente esplicitato il ruolo cruciale della città meridionale dell’enclave nel raggiungimento dell’obiettivo ultimo di Israele, cioè la distruzione di Hamas. Al riguardo, La Fortezza ha dichiarato: “Se questa poi sarà effettivamente una vittoria e se questa guerra decreterà realmente la fine di Hamas sarà da valutarsi soltanto nel futuro, una volta cioè che le operazioni militari saranno concluse e si dovrà procedere in un modo o nell’altro a una stabilizzazione del teatro. Ma a prescindere da tali scenari futuri, ora l’operazione su Rafah è per Israele sinonimo della propria vittoria e parallelamente, dunque, della sconfitta di Hamas”. Rafah ha anche un significato interno alla stessa vita politica israeliana. Netanyahu – ha affermato La Fortezza – “deve bilanciare i partner di coalizione più intransigenti, i quali potrebbero abbandonarlo qualora dovesse accettare un accordo per il cessate il fuoco con Hamas, soprattutto prima della conquista totale di Rafah; allo stesso tempo, la conquista di Rafah e le narrative della ‘vittoria totale’ e della distruzione assoluta di Hamas e del suo braccio armato potrebbero essere funzionali a garantire a Netanyahu, in un futuro contesto di tregua, quel minimo di credito nazionale dal quale cercare di ricostruire una base politica”. L’offensiva su Rafah “potrebbe dunque essere l’ultimo atto di questo conflitto, la linea oltre la quale Netanyahu potrebbe poi mostrarsi maggiormente aperto verso un negoziato”, ha detto La Fortezza, secondo cui “questo potrebbe anche spiegare la contraddizione a cui stiamo assistendo, per cui mentre Israele ha già intrapreso limitate operazioni militari su Rafah, ha comunque inviato una propria delegazione al Cairo”. D’altro canto, per l’esperta, “si potrebbe assistere anche a uno scenario esattamente contrario con un’ulteriore prosecuzione del conflitto anche dopo la presa di Rafah”. In questo senso, “la continuazione delle operazioni militari risulta funzionale alla stessa posizione politica di Netanyahu il quale, nel momento in cui questa guerra sarà finita, non solo si troverà a dover affrontare le accuse di corruzione per cui è ormai indagato da anni ma dovrà anche rispondere alla popolazione israeliana delle scelte fatte durante questi mesi di guerra”, ha aggiunto. Per questa ragione, anche dopo un’eventuale più ampia operazione a Rafah, ha proseguito La Fortezza, “Netanyahu potrebbe reputare maggiormente utile continuare a permanere in una situazione di conflitto aperto. In questo senso, l’apparente volontà di continuare a negoziare al Cairo si spiegherebbe con il tentativo di non apparire come la parte che ha concretamente fatto fallire i negoziati, ciò soprattutto alla luce dell’inaspettata decisione di Hamas di accettare il cessate il fuoco”.
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