La Tenuta Maffone è il vanto dell’Alta Valle Arroscia
C’è un angolo di Liguria, stretto tra ripidi versanti boschivi, che sembra più alpino che agricolo, un luogo magico dove la tradizione vinicola si fonde con la tenacia degli uomini. Siamo nell’Alta Valle Arroscia, nel comune di Pieve di Teco, frazione Acquetico, dove, tra i 500 e i 700 metri di quota, Bruno ed Eliana custodiscono una storia di passione e coraggio: quella di Tenuta Maffone. L’azienda è giovane, nata nel 2009 da una scelta audace di Bruno, che ha lasciato il suo precedente lavoro per dedicarsi interamente ai vigneti di famiglia. Un’avventura che, come scrisse Mario Soldati, si svolge nell’”optimum” per la qualità delle uve, con il sole e i venti miti del Mediterraneo a garantire condizioni perfette di maturazione. La filosofia di Tenuta Maffone è profondamente legata al rispetto per la terra. I vigneti, alcuni dei quali raggiungono i 100 anni di età, vengono coltivati in modo strettamente tradizionale: zero diserbanti e zero concimi chimici. Il segreto della fertilità è l’azoto naturale: si pratica il sovescio seminando orzo e favino che vengono poi triturati e interrati. La posizione privilegiata in altitudine, con vigne molto areate e ben esposte, permette all’azienda di effettuare pochissimi trattamenti, evitando l’uso di antimuffe. Un rispetto per la natura così totale che, non a caso, in estate si possono trovare nidi di uccellini ben nascosti tra le foglie delle viti. Tenuta Maffone è il vanto dell’Ormeasco, vitigno autoctono coltivato in un areale ristretto dell’Imperiese, affiancato dal Pigato, altra varietà indigena di assoluta qualità. Il Pigato, coltivato a 500 metri, grazie a criomacerazione e lungo batonage, sviluppa profumi e strutture distintive rispetto ai cugini costieri. L’Ormeasco, invece, viene declinato in ben cinque diverse etichette. Si va dal classico vinificato in acciaio, all’elegante Superiore (frutto di raccolta tardiva e affinamento in botte grande), fino al prezioso Passito, ottenuto da uve appassite sui graticci fino a gennaio. Ma la vera rivoluzione arriva nel 2012. Bruno, intuendo il potenziale di invecchiamento delle sue uve di montagna, decide di tentare una strada mai percorsa: spumantizzare l’Ormeasco. Guidato dall’enologo Marco Biglino, si anticipa la vendemmia di oltre un mese e mezzo. Le uve acerbe vengono vinificate in bianco e poi messe a riposare nella vecchia cantina del nonno, seguendo i rigorosi dettami del Metodo Classico. Nel 2014, il successo è immediato: il Metodo Classico di uve Ormeasco, battezzato “Dueluglio”, è il primo e unico al mondo. Un vino che, con i suoi minimi 30 mesi sui lieviti, ha dimostrato come la tradizione possa evolvere attraverso il coraggio e la passione di una famiglia che ha scelto di vivere e produrre in un lembo di terra indimenticabile.
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