Madagascar: Rajoelina al capolinea, la Francia rischia di perdere un altro alleato in Africa

Ott 15, 2025 - 07:20
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Madagascar: Rajoelina al capolinea, la Francia rischia di perdere un altro alleato in Africa

A tre giorni dal parziale ammutinamento dell’esercito e due giorni dalla fuga del presidente Andry Rajoelina dal Paese, resta estremamente caotica la situazione in Madagascar, scosso dallo scorso 25 settembre da un’ondata di proteste senza precedenti ispirate alla “Generazione Z”, che hanno provocato almeno 22 morti. La presidenza di Antananarivo ha pubblicato questa mattina un decreto di scioglimento dell’Assemblea nazionale, poche ore prima che il parlamento si riunisse per votare una mozione di impeachment nei confronti di Rajoelina per aver abbandonato il suo incarico. Una decisione presa “per ristabilire l’ordine nella nostra nazione e rafforzare la democrazia”, come giustificato dallo stesso capo dello Stato in un messaggio pubblicato sui suoi profili di social media, ma che non ha impedito ai deputati di riunirsi ugualmente per votare la sfiducia al presidente, mozione passata anche con i voti favorevoli del partito di Rajoelina. Nel Paese proseguono intanto le manifestazioni di protesta, con il chiaro obiettivo di assestare un colpo definitivo al presidente, che nel frattempo, dopo aver lasciato l’isola, ha fatto sapere di essersi rifugiato in un “posto sicuro”. Il tutto mentre il Corpo d’armata del personale e dei servizi amministrativi e tecnici (Capsat) – l’unità speciale dell’esercito che aveva già svolto un ruolo chiave nella rivolta del 2009 che portò al potere per la prima volta Rajoelina – ha annunciato di aver preso il controllo del potere. Nella rapida evoluzione della crisi, Rajoelina appare sempre più isolato, e la sua presa sul potere ormai svanita. La sua caduta rappresenta un altro duro colpo per la Francia, l’antica potenzia coloniale la cui influenza negli ultimi anni ha conosciuto una graduale ma inesorabile erosione in tutta una serie di Paesi africani, a cominciare dall’area del Sahel, teatro di una serie di colpi di Stato che hanno portato al potere giunte militari ostili all’Occidente: dal Mali al Burkina Faso, dalla Guinea al Niger, fino al Gabon. Senza contare gli ultimi sviluppi nella Repubblica Centrafricana e perfino in Senegal, dove pure gli interessi di Parigi hanno iniziato a vacillare con l’elezione del nuovo presidente Bassirou Diomaye Faye. Ex rappresentante delle aspirazioni dei giovani e delle regioni periferiche, Rajoelina – salito al potere nel 2009 con un colpo di Stato e rieletto prima nel 2018, quindi nel 2023 in elezioni fortemente contestate e boicottate dall’opposizione – è diventato ben presto il simbolo dell’establishment filofrancese che inizialmente aveva promesso di contrastare. Emblematico il fatto che la sua fuga dal Paese, secondo l’emittente “Rfi”, sia avvenuta a bordo di un aereo militare francese diretto all’isola malgascia di Sainte-Marie, e da lì verso l’isola della Riunione, nel dipartimento francese nell’Oceano Indiano. Una fuga che, stando alle stesse indiscrezioni, sarebbe stata concordata con il presidente Emmanuel Macron, sebbene l’Eliseo abbia negato la notizia, ribadendo che in nessun caso la Francia interverrà militarmente in Madagascar. Ottenuta l’indipendenza nel 1960 dopo 63 anni di dominio francese, il Madagascar intraprese un lungo periodo di decolonizzazione sotto la tutela di Parigi, che favorì il Partito dei diseredati del Madagascar (Padesm), guidato da Philibert Tsiranana. Quest’ultimo istituì un sistema di potere di fatto subordinato alla Quinta repubblica e al franco Cfa, continuando a favorire investimenti francesi nei settori della finanza, dell’industria e dell’agricoltura. Nel 1972 un imponente movimento sociale pose fine all’egemonia del Padesm, cui seguì un periodo d’instabilità segnato da successivi governi militari. Da queste lotte intestine emerse un esercito unificato, che divenne la principale forza politica dell’isola. Nel 1975 l’ammiraglio Didier Ratsiraka prese il potere. Di fronte a una classe operaia e a una gioventù studentesca galvanizzate, Ratsiraka istituì un direttorio militare di chiara impronta marxista, senza però alcuna vera rottura con l’antica potenza coloniale. Una tendenza proseguita fino al 1986, quando Ratsiraka – su forti pressioni delle Nazioni Unite e della Francia – ripristinò le libertà elettorali, che gli causarono la sconfitta nel 1993 contro Albert Zafy. Cinque anni dopo, Ratsiraka tornò al potere con il sostegno dell’esercito, riorganizzando lo Stato in modo autoritario e centralizzato e rafforzando l’apparato coercitivo con il sostegno esterno, in particolare israeliano. Questo irrigidimento precipitò la sua caduta alle elezioni del 2001 contro Marc Ravalomanana. L’allora sindaco di Antananarivo, imprenditore e dirigente dei media, cercò di diversificare le alleanze aprendo il Paese ai capitali statunitensi, tedeschi e cinesi, attraverso politiche di liberalizzazione e investimenti agroindustriali e turistici che, tuttavia, non riuscirono a trasformare l’economia malgascia, una delle più povere del mondo. Fu in quel contesto che trovò terreno fertile Andry Rajoelina. Figlio di un colonnello e di un imprenditore, Rajoelina divenne a sua volta sindaco di Antananarivo nel 2007, alla guida del partito Tanora Malagasy Vonona (Gioventù malgascia determinata, Tgv), da lui fondato. In breve tempo Rajoelina si costruì l’immagine di un giovane sindaco anticorruzione, rappresentando – in opposizione a Ravalomanana – una fazione imprenditoriale desiderosa di maggiori libertà civili ed economiche. Una politica che gli valse il sostegno dei giovani urbani, ma anche delle popolazioni costiere, storicamente discriminate dall’etnia dominante merina, dei cui privilegi storici Ravalomanana rivendicava di essere il garante. Rajoelina si fece così promotore di proteste di massa per destituire il governo, la cui repressione causò centinaia di morti e feriti nelle principali città dell’isola. Con il sostegno dei militari, nel marzo 2009 i sostenitori di Rajoelina assaltarono il palazzo presidenziale, costringendo Ravalomanana ad abbandonare il potere. Divenuto il nuovo “uomo forte” del Paese, Rajoelina ottenne ben presto il sostegno dell’esercito e del Consiglio delle chiese, ma soprattutto della Francia, interessata a mantenere il controllo di un attore chiave per la sua proiezione strategica nell’Oceano Indiano sud-occidentale. Con l’appoggio dell’allora presidente Nicolas Sarkozy, Rajoelina aprì l’economia malgascia alle grandi multinazionali francesi in diversi settori: dall’energia alle telecomunicazioni, dalle banche all’estrazione mineraria e petrolifera, riorganizzati a vantaggio di Total e del gruppo Bolloré. Dopo una breve parentesi di presidenza di Hery Rajaonarimampianina, uomo vicino a Rajoelina, quest’ultimo vinse le elezioni del 2019 grazie a un discorso nazionalista e sovranista, denunciando le interferenze straniere e insistendo sulla richiesta della retrocessione delle Isole sparse dell’Oceano Indiano – che in base alla legge francese ricadono sotto la giurisdizione delle Terre australi e antartiche francesi, di cui costituiscono il quinto distretto – da parte della Francia. In quel periodo Rajoelina aprì le risorse forestali e agricole del Paese al capitale russo e cinese con una retorica multilateralista, cercando – come Ravalomanana prima di lui – di affermarsi come attore regionale autonomo dalla tutela francese. Un tentativo che, tuttavia, non intaccò più di tanto l’influenza francese, come dimostrano i nuovi investimenti da parte di Airbus ed Edf, annunciati in occasione della recente visita di Macron ad Antananarivo, nell’aprile scorso. È in questo contesto che s’inseriscono le proteste scoppiate lo scorso 25 settembre, nate dal collettivo “Generazione Z” – sulla falsa riga di quanto avvenuto in Kenya e in Nepal – inizialmente contro i tagli all’acqua e all’elettricità, ma che presto si sono trasformate in proteste contro il governo e richieste di dimissioni del capo dello Stato. Anche la Francia è stata oggetto dell’ira di alcuni manifestanti, che hanno esposto striscioni con la scritta “Rajoelina e Macron fuori”, a ulteriore conferma degli stretti legami con Parigi. Con l’estromissione di Rajoelina la Francia rischia di perdere un altro storico alleato in Africa, con uno scenario che potrebbe aprire la strada – come già avvenuto nei Paesi del Sahel – ad una graduale penetrazione di potenze rivali, a partire dalla Russia, già in passato accusata d’influenzare la politica interna malgascia. Nel 2018, in occasione delle elezioni presidenziali, diverse inchieste giornalistiche, tra cui quelle commissionate dal “New York Times” e da “Bbc Africa Eye”, hanno documentato un’interferenza russa coordinata, guidata da operatori vicini al fondatore del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin, con l’obiettivo d’influenzare il risultato per assicurarsi un governo amico a Mosca. Un interesse che, come nel caso dei Paesi del Sahel e dell’Africa centrale, è alimentato dalle ricche risorse naturali di cui il sottosuolo malgascio dispone: nichel, cobalto, uranio, oro, grafite e terre rare. Tutti elementi essenziali per la costruzione di batterie, apparecchiature elettroniche e armamenti di precisione.

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Redazione Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore di Radiocom.tv