Un’inchiesta giornalistica sulla corruzione della magistratura apre un nuovo fronte di crisi in Romania

Dic 13, 2025 - 00:01
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Un’inchiesta giornalistica sulla corruzione della magistratura apre un nuovo fronte di crisi in Romania

Alle prese con una dinamica politica non ancora stabilizzata dopo il lungo ciclo elettorale che ha visto le elezioni parlamentari e la ripetizione delle presidenziali negli ultimi 12 mesi, indebolita da una situazione finanziaria complessa e un deficit pubblico a livelli record, la Romania rischia di vedere aprirsi un terzo fronte di crisi, a seguito delle rivelazioni di un’inchiesta giornalistica sulla corruzione del sistema giudiziario. Un documentario realizzato dall’emittente “Recorder”, intitolato “Giustizia catturata”, ha infatti sollevato gravi accuse circa il presunto controllo dell’apparato giudiziario romeno da parte di un ristretto gruppo di magistrati e politici. In base all’inchiesta, negli ultimi anni importanti procedimenti sarebbero stati rallentati intenzionalmente tramite cambi frequenti dei collegi giudicanti o altre manovre amministrative, con l’effetto di avvicinare la prescrizione dei reati o favorire assoluzioni. Si tratterebbe di processi spesso legati a casi di corruzione, come sostenuto da giudici e procuratori che hanno accettato di parlare -alcuni in forma anonima- con “Recorder”. Il documentario suggerisce inoltre che l’assegnazione dei fascicoli verrebbe manipolata per indirizzare i procedimenti più delicati verso collegi considerati “favorevoli”. “Recorder” denuncia anche una forte concentrazione di potere all’interno della magistratura: norme adottate negli ultimi anni avrebbero creato una struttura gerarchica piramidale, nella quale l’avanzamento di carriera dipenderebbe non dal merito, ma dalla lealtà verso l’influente cerchia di giudici protagonista degli scandali. Ex procuratori e membri attuali della Direzione nazionale anticorruzione affermano che, dopo il cambio di leadership dell’istituzione, numerosi colleghi si sarebbero dimessi o sarebbero stati marginalizzati, mentre i dossier più importanti non sarebbero stati avviati o sarebbero rimasti bloccati. Il documentario – osserva “Recorder” – mette in discussione il funzionamento stesso dello Stato di diritto in Romania, mostrando una magistratura descritta non come arbitro imparziale, ma come possibile strumento di interessi di potere, con potenziali ripercussioni sulla fiducia pubblica nell’intero sistema giudiziario. A rispondere alla messa in onda del documentario sono stati sia i partiti politici che la società civile. Il partito di opposizione Unione salvate la Romania (Usr) ha chiesto la convocazione urgente del ministro della Giustizia in Parlamento per chiarimenti, mentre davanti alla sede del Consiglio superiore della magistratura si sono svolte manifestazioni di protesta. I partecipanti hanno scandito slogan come “Giustizia, non mafia!” e “Vogliamo giustizia, non impunità!”, chiedendo dimissioni e riforme profonde del sistema giudiziario. Il presidente Nicusor Dan ha dichiarato di aver visto integralmente il filmato, elogiandone gli autori e annunciando un rapporto ufficiale sulle disfunzioni segnalate. Il primo ministro Ilie Bolojan ha invece affermato che il governo condurrà un’analisi dettagliata con i propri consiglieri giuridici, precisando che eventuali cambiamenti “non possono essere introdotti dall’oggi al domani”. La reazione del Csm è invece stata di carattere opposto: in un comunicato, il principale organo della magistratura romena ha reso noto di aver preso atto di una “amplificazione della campagna di destabilizzazione del potere giudiziario”. Il Csm sostiene che le accuse contenute nel reportage contraddicono le valutazioni formulate negli ultimi anni dalle istituzioni europee e internazionali competenti, citando la revoca del Meccanismo di cooperazione e verifica, i più recenti rapporti sullo Stato di diritto, l’ingresso nell’area Schengen e i progressi nel processo di adesione all’Ocse. Secondo l’istituzione, la campagna avrebbe l’obiettivo di “distruggere la fiducia nel sistema di giustizia e nelle persone che ricoprono funzioni di vertice”, figure che avrebbero mantenuto posizioni pubbliche costanti a favore dell’indipendenza dei giudici. Il Csm richiama anche una “successione temporale” di eventi che descrive come un “piano ben definito” volto a minare la credibilità della giustizia: dalla banalizzazione del dibattito sulle pensioni di servizio e sulle retribuzioni dei magistrati, alle proteste contro l’operato dei giudici, fino agli appelli pubblici alla rivolta attribuiti al presidente della Repubblica e al coinvolgimento di ex magistrati in pensione. Il Consiglio afferma che tale dinamica sarebbe culminata con la pubblicazione del reportage di Recorder, avvenuta alla vigilia della decisione della Corte costituzionale sul disegno di legge relativo alle pensioni dei giudici, tema ormai da mesi di dibattito in Romania, su cui hanno lavorato il governo e la presidenza della Repubblica. A inizio dicembre la Corte di Cassazione ha rinviato il testo in materia alla Corte costituzionale, in quello che appare ormai come un braccio di ferro con le istituzioni di Bucarest. Il progetto di legge prevede l’aumento graduale dell’età pensionabile da 48 a 65 anni, un tetto al 70 per cento dell’ultima indennità netta e un’anzianità minima di 35 anni. Le norme si estenderebbero anche al personale ausiliario delle istituzioni giudiziarie. Tra le motivazioni adoperate dal governo romeno per imporre tali disposizioni vi sono lo sblocco dell’accesso ai fondi europei, la correzione di alcune disuguaglianze economiche nel Paese e la generale sostenibilità del sistema pensionistico. L’Ue ha del resto identificato la riforma delle pensioni dei magistrati come uno dei punti cruciali per dare via libera allo sblocco di nuovi fondi per la Romania.

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Redazione Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore di Radiocom.tv