Caso Moro: c’era un uomo in più nel commando che rapì il presidente della Democrazia Cristiana a via Fani

Giu 9, 2025 - 04:24
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Caso Moro: c’era un uomo in più nel commando che rapì il presidente della Democrazia Cristiana a via Fani

C’era un altro uomo in via Fani quel 16 marzo del 1978, a Roma, il giorno dell’agguato pianificato da un nucleo armato delle Brigate Rosse per rapire l’onorevole Aldo Moro. Durante le operazioni del sequestro, il commando di brigatisti sparò almeno 47 colpi uccidendo i cinque agenti della scorta del presidente della Democrazia Cristiana: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi e Giulio Rivera. C’era una persona in più, un nome mai uscito nelle inchieste e nei processi sul caso Moro che, negli anni, hanno visto condannare 15 persone. La notizia emerge da una nuova inchiesta su un altro caso degli anni di piombo, rimasto fino a oggi irrisolto. La procura di Torino ha infatti riaperto, quasi mezzo secolo dopo, le indagini sull’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso e sul ferimento di altri due appuntati, Rosario Cattafi e Umberto Rocca avvenuti durante il blitz alla Cascina Spiotta del 5 giugno 1975. Gli agenti fecero irruzione nel casale dove i brigatisti si nascondevano e tenevano sequestrato Vittorio Vallarino Gancia, imprenditore di Acqui Terme. Nel blitz morì la terrorista Mara Cagol, gli altri compagni riuscirono a fuggire. Tra questi c’era anche Lauro Azzolini, reo confesso durante il processo davanti alla Corte d’Assise di Alessandria che vede imputati altri due brigatisti, Renato Curcio e Mario Moretti. Dalle indagini condotte dai carabinieri del Ros di Torino spuntano delle intercettazioni ambientali tra l’82enne Lauro Azzolini e l’altro brigatista Antonio Savino che collegano i due casi. Il terrorista ha confidato al compagno che non sarebbe stato l’ergastolano in libertà Franco Bonisoli a sparare 17 colpi contro Raffaele Iozzino, come stabilito dalle sentenze, e gli ha fatto il nome di una persona mai comparsa nelle indagini e nei processi sul sequestro e l’omicidio del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Un’intercettazione che potrebbe trovare riscontro in una perizia del 2015, nella quale si evidenzia che i colpi che uccisero l’agente della scorta Iozzino furono esplosi da qualcuno posizionato sul suo fianco sinistro mentre Bonisoli era posto davanti. Nelle carte si legge inoltre che “mentre nella vecchia perizia era stato stabilito che le armi utilizzate in via Fani erano 7, se consideriamo questi ultimi reperti dobbiamo concludere che le armi utilizzate nello stesso attentato erano 9, delle quali fino a oggi solo tre sequestrate”. I brigatisti hanno sempre sostenuto che fu Franco Bonisoli a sparare contro l’agente Iozzino, una versione che non ha mai convinto gli inquirenti e che, lo sappiamo quasi cinquant’anni dopo, non coincide con i rilievi per il numero di colpi esplosi e per la posizione di Bonisoli al momento dell’agguato.

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Redazione Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore di Radiocom.tv