Il sogno di Martin Luther King: “non giudicati dal colore della pelle, ma per contenuto del carattere”, da Obama a Kamala Harris… anche donna
Nel 2008 gli americani fecero la storia eleggendo Barack Obama, il primo afro-americano presidente. Adesso con la nomination di Kamala Harris gli Usa hanno l’opportunità di confermare il progresso fatto con Obama ma anche di ampliarlo. La Harris, se eletta a novembre, diverrebbe non solo la seconda afro-americana con, addirittura, con radici asiatiche ad accedere alla Casa Bianca ma colmerebbe un’altra lacuna come prima donna ad essere eletta nel Paese più importante e potente del mondo. Quando Obama annunciò la sua candidatura alle primarie democratiche nel 2007 pochi gli diedero molte chance di vittoria considerando la sua limitata esperienza in politica nazionale con solo 2 anni al Senato. Inoltre, si credeva che un candidato di colore con un nome stranissimo – Barack Hussein Obama – non sarebbe mai stato accettato dagli americani. Hillary Clinton, la sua diretta avversaria, colosso dell’establishment democratico, invece, aveva già un cognome notissimo avendo svolto il ruolo di first lady nei due mandati del marito Bill (1993-2001). La Clinton aveva, anche, la reputazione di aver partecipato attivamente alla politica invece di concentrarsi esclusivamente sul ruolo cerimoniale di first lady. Alla fine, però, Obama ebbe la meglio alle primarie sulla Clinton la quale non abbandonò la politica ma fu eletta senatrice dello Stato di New York, ricoprendo quel ruolo per 8 anni. Obama doppiò il successo nell’elezione generale del 2008 quando sconfisse il candidato repubblicano John McCain, divenendo il primo afroamericano a “risiedere” alla Casa Bianca. Obama tolse, però, alla Clinton l’opportunità storica di divenire la prima donna presidente degli Usa. Ciononostante il neo presidente la “ricompensò” offrendole l’incarico di Segretario di Stato, uno dei dicasteri più importanti, che le permise di ampliare il suo già ricco curriculum. La Clinton ebbe una seconda opportunità di fare la storia e divenire la prima donna presidente nel 2016 dopo i due mandati di Obama. Nelle primarie riuscì a sconfiggere il senatore liberal Bernie Sanders il quale, però, le diede filo da torcere. Ma la seconda opportunità per divenire la prima donna presidente non si avverò nel 2016 nonostante avesse conquistato il voto popolare con un margine di quasi 3 milioni di voti più di Trump. Il tycoon divenne presidente per il meccanismo del Collegio Elettorale (304 vs. 227). La storia la fece, quindi, Donald Trump che, senza alcuna esperienza politica, riuscì a divenire il 45esimo presidente degli UDA. Trump fece molto per riportare l’America indietro verso gli anni ’50, il periodo che, lui spiegò, coincideva con il suo slogan Make America Great Again, MAGA (Rifacciamo Grande l’America). Trump fece, però, anche storia al negativo. Nei suoi quattro anni di mandato subì due richieste di impeachment alla Camera e si salvò dalla condanna al Senato per una manciata di voti. La storia al negativo, poi, fu aggravata dall’ex presidente con l’incitazione ai suoi sostenitori, che presero d’assalto il Campidoglio il 6 gennaio 2021 nel tentativo di bloccare la certificazione di Joe Biden come presidente eletto. Trump ha, inoltre, fatto la storia perché a differenza di altri candidati presidenziali perdenti non si è messo da parte dopo la sua sconfitta del 2020. Nemmeno le due condanne in cause civili e una in un caso penale gli hanno impedito di conquistarsi la nomination del Partito Repubblicano. Divenuto candidato a un secondo mandato tutti credevano che il suo avversario dovesse essere il presidente Biden. L’attuale residente alla Casa Bianca decise di ritirarsi avendo preso atto delle poche chance di vittoria. Maureen Dowd, opinionista del New York Times, ha descritto il ritiro di Biden come un golpe orchestrato dalla leadership democratica guidata in grande misura da Nancy Pelosi, la potente ex speaker della Camera. La decisione di gettare la spugna, però, è spettata a Biden, il quale ha seguito la stessa strada di Lyndon Johnson nel 1968 quando anche lui rifiutò la nomination. Biden ha, quindi, offerto il suo endorsement alla sua vice Kamala Harris e la leadership democratica ha fatto quadrato intorno alla nuova portabandiera che ha conquistato la nomination. La candidata democratica ha ora una buona opportunità di ripetere ciò che riuscì a fare Obama ma anche di correggere lo “sbaglio” degli americani fatto nel 2016 con l’elezione di Trump. Kamala Harris romperebbe anche il tetto di cristallo che non è riuscito alla Clinton. Martin Luther King aveva detto, adottando una frase dell’abolizionista Theodore Parker dell’Ottocento, che “l’arco dell’universo morale è lungo ma si piega verso la giustizia”. Anche Obama amava citare la frase. L’elezione di Obama avrebbe fatto piacere a King ma l’elezione di Kamala Harris avvicinerebbe ancora di più il Paese ad avverare il sogno di King nel 1963 che i suoi “quattro figli vivranno un giorno in cui non saranno giudicati dal colore della pelle, ma per il contenuto del loro carattere” (I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character).
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