In un libro la storia di Vittoria Nenni deportata ad Auschwitz
"Dite a mio padre che ho avuto coraggio fino all'ultimo e che non rimpiango nulla". Con queste parole Vittoria Nenni, terzogenita del leader socialista, si congedò da questa terra, il 15 luglio 1943. All'inizio di quell'anno il numero 31.635 marchiato sul braccio di Vivà, come la chiamano i familiari, è già una condanna a morte, ma lei affronta i sei mesi di detenzione nel campo di sterminio di Auschwitz con una determinazione che a leggerla oggi pare possibile solo negli eroi della mitologia.
Vittoria era nata ad Ancona, il 31 ottobre 1915, mentre Nenni si trovava a combattere al fronte in piena prima guerra mondiale. Sua figlia si chiama Vittoria, proprio come auspicio al successo delle truppe italiane e degli alleati contro Germania e Austria. A 11 anni ha il suo primo incontro diretto con il fascismo.
Mentre rientra a casa, trova una squadra di camicie nere che stanno distruggendo l'appartamento. Uno la prende per un braccio e minaccia di far fare al padre la fine di Matteotti. La paura è tanta e, dopo quell'episodio, Pietro Nenni decide di prendere la via dell'esilio. La moglie e le figlie lo raggiungeranno a Parigi quasi un anno dopo, beffando la sorveglianza del regime.
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