La Libia rivive le rivoluzione del dopo Gheddafi
Il 17 febbraio di tredici anni fa, un’enorme folla composta dai familiari dei prigionieri del massacro della prigione di Abu Salim, avvenuto nel 1996 a seguito di diffusi disordini nella prigione e che si concluse con l’uccisione di oltre 1.200 detenuti, distrusse l’enorme statua del Libro Verde a Tripoli, il “manuale della rivoluzione” vergato dalla penna del colonnello Muammar Gheddafi negli anni Settanta. Quel 17 febbraio del 2011 fu un momento spartiacque nella storia moderna della Libia: fu la scintilla che innescò le rivolte in molte città libiche – come Misurata, Zawiya, Zintan e Bengasi. La rivoluzione “dei ratti”, come la apostrofò Gheddafi in un delirante discorso di fine febbraio, continuò per altri otto mesi, sostenuta dai bombardamenti della Nato. L’intervento occidentale, sollecitato in primis dalla Francia, fu decisivo per rovesciare il regime del colonnello, catturato mentre si nascondeva in uno scolo di cemento sotto la strada della sua ex roccaforte Sirte, proprio come i “ratti” che promise di schiacciare. La morte del dittatore portò a indire le prime elezioni democratiche in Libia il 7 luglio 2012, alle quali seguì un’altra elezione per l’attuale Camera dei rappresentanti nell’ormai lontano 2014. Da allora, i libici non hanno più potuto esercitare il proprio diritti di voto e oggi il Paese ricco di petrolio ma povero di servizi è di fatto diviso in due. Da una parte c’è il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il cosiddetto Governo di stabilità nazionale guidato da Osama Hammad, primo ministro designato dalla Camera dei rappresentanti, di fatto un esecutivo parallelo con sede a Bengasi manovrato dal generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), sostenuto dalla Russia. Il fragile equilibrio in vigore nel Paese nordafricano è basato su un implicito accordo tra due potenti famiglie – i Dabaiba e gli Haftar – con un crescente ruolo dei “verdi” (vale a dire gli ex gheddafiani) nei gangli dello Stato profondo. Il governo di Tripoli ha predisposto per domani una grande manifestazione in Piazza dei Martiri, l’ex Piazza Verde della defunta Jamahiriyya gheddafiana. Altre dimostrazioni sono previste a Misurata, Zawiya e Zintan. Il primo ministro uscente Dabaiba dovrebbe parlare alla nazione, approfittando delle celebrazioni per serrare i ranghi della coalizione di milizie che lo appoggia. Al contrario, il cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn, l’esecutivo parallelo dell’est non riconosciuto dalla comunità internazionale) ha annunciato che non ci sarà alcuna celebrazione a Bengasi, il capoluogo della Cirenaica dominato dal generale Khalifa Haftar. Da tempo, in realtà, le autorità orientali hanno smesso di celebrare il 17 febbraio. “La domanda è se questo sia un tentativo di ingraziarsi i verdi da parte di Haftar”, riferisce una fonte libica ad “Agenzia Nova”. Non solo. In vista dell’anniversario del 17 febbraio, i figli del generale Haftar, Saddam e Khaled, hanno inviato uomini e mezzi verso il deserto della Sirte, nel nord della Libia, e l’area della città di Jufra, nel centro del Paese. La mossa appare come una dimostrazione di forza dei due ufficiali, con il sostegno di Mosca che punta a rafforzare la propria presenza in Libia, in una data importante per la storia più recente del Paese. Una fonte della sicurezza di Jufra ha confermato ad “Agenzia Nova” che una serie di veicoli militari si sono spostati nell’ultima giornata per condurre delle esercitazioni a Sirte – la città natale di Gheddafi – e Jufra, spiegando che vi prenderanno parte le principali brigate del’Enl, tra cui le unità di sicurezza guidate dal figlio Khaled; la Brigata Tariq bin Ziyad, guidata dal figlio Saddam; e la 128esima Brigata, guidata da Hassan al Zadma, un uomo vicino a Saddam. Khaled e Saddam Haftar sono stati recentemente promossi da generale di brigata al rango di generale di divisione. Intanto, il rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite e capo della Missione di sostegno dell’Onu in Libia (Unsmil), Abdoulaye Bathily, ha lanciato l’allarme sulla continua divisione tra le istituzioni dell’est e dell’ovest della Libia. “Questo porterà alla mancata adozione di un bilancio unificato per indirizzare la spesa pubblica, il che si tradurrà in una mancanza di trasparenza e aumenterà la fragilità dell’economia libica di fronte agli shock interni ed esterni”, ha detto Bathily al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’inviato Onu sta portando avanti un’iniziativa rivolta ai cinque principali soggetti istituzionali libici – il Consiglio presidenziale (organo tripartito che svolge le funzioni di capi di Stato), la Camera dei rappresentanti (la Camera bassa eletta nel 2014 che si riunisce nell’est), l’Alto Consiglio di Stato (la Camera Alta con sede a Tripoli), il Governo di unità nazionale e il Comando generale dell’Esercito nazionale libico. Questi cinque soggetti dovrebbero nominare tre rappresentati che dovranno sedere allo stesso tavolo per trovare un compresso sulle cosiddette “questioni irrisolte”: il secondo turno obbligatorio delle elezioni presidenziali; la validazione delle elezioni presidenziali insieme alle parlamentari; la formazione di un “nuovo governo” incaricato di portare il Paese al voto. “Le parti libiche sono pronte a risolvere le controversie che impediscono lo svolgimento delle elezioni, nonostante il completamento del quadro giuridico e costituzionale”, ha avvertito Bathily. Il politico e diplomatico senegalese ha dichiarato che le parti libiche “continuano a voler imporre le loro condizioni” e che “nessuno si è allontanato in modo decisivo dalla posizione iniziale”, preferendo mantenere un conveniente status quo. Bathily ha indicato in particolare che il presidente della Camera dei rappresentanti, Aguila Saleh, non intende partecipare al tavolo negoziale senza l’inclusione del Governo di stabilità nazionale di Bengasi o l’esclusione del Governo di unità nazionale di Tripoli del primo ministro uscente, Abdulhamid Dabaiba.
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