Pakistan-India, il premier Sharif: 'Aperti a un’indagine neutrale sull’attacco di Pahalgam'

Apr 27, 2025 - 00:14
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Pakistan-India, il premier Sharif: 'Aperti a un’indagine neutrale sull’attacco di Pahalgam'

Il Pakistan è disposto a partecipare a un’indagine “neutrale, trasparente e credibile” sull’attacco compiuto il 22 aprile a Pahalgam, nell’area del Kashmir amministrata dall’India, costato la vita a 26 persone, in prevalenza turisti. Lo ha dichiarato oggi, 26 aprile, il primo ministro pachistano Shehbaz Sharif, nel pieno della crisi in corso tra le due potenze nucleari dell’Asia meridionale. L’attacco, il più grave registrato nella regione dal 2000, è stato rivendicato da un gruppo armato semi-sconosciuto, il Fronte della resistenza. In seguito all’incidente, India e Pakistan hanno adottato misure reciproche: Nuova Delhi ha sospeso unilateralmente il Trattato delle acque dell’Indo (Iwt), mentre Islamabad ha annunciato la sospensione dell’applicazione dell’Accordo di Simla e ha chiuso il proprio spazio aereo ai voli indiani. L’India ha suggerito possibili collegamenti transfrontalieri degli attentatori, ipotesi che il Pakistan respinge con forza.

Parlando alla cerimonia di fine corso dell’Accademia militare di Kakul, Shehbaz ha affermato che la tragedia di Pahalgam “è un’ulteriore manifestazione del perpetuo gioco delle accuse incrociate, che deve cessare”. Il Pakistan, ha aggiunto, “continuerà a comportarsi da Paese responsabile” ed è pronto a partecipare a una verifica imparziale dei fatti. Il primo ministro ha criticato l’India per le “accuse infondate e le affermazioni false (avanzate) senza alcuna indagine credibile”. Commentando la sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo da parte di Nuova Delhi, Shehbaz ha definito l’acqua “un interesse nazionale vitale” e ha avvertito che ogni tentativo di “fermare, ridurre o deviare il flusso delle acque spettanti al Pakistan sarà affrontato con tutta la forza e determinazione necessarie”. Sharif ha poi ribadito che le forze armate pachistane “restano pienamente capaci e pronte a difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Paese contro ogni avventura militare”, facendo riferimento alla risposta pachistana all’incursione indiana del febbraio 2019, nota come “Operazione Swift Retort”.

Il premier ha espresso la sua “piena fiducia” nelle forze armate, sottolineando che “i 240 milioni di pachistani sono uniti a sostegno delle forze armate e pronti a difendere ogni centimetro della patria”. “La pace è la nostra speranza, ma non deve essere scambiata per debolezza”, ha aggiunto. Nel suo discorso, Shehbaz ha infine riaffermato il sostegno di Islamabad al diritto di autodeterminazione del popolo del Kashmir, definendo la regione “la vena giugulare del Pakistan”, come affermato dal fondatore della nazione, Mohammad Ali Jinnah. “Il Pakistan continuerà a sostenere la lotta dei kashmiri fino al raggiungimento dei loro diritti”, ha concluso.

Le forze armate di India e Pakistan avuto scambi a fuoco fuoco per la seconda notte consecutiva lungo la linea di controllo che separa le rispettive aree del Kashmir, nel quadro della crisi provocata dall’attentato dello scorso 22 aprile a Pahalgam, costato la vita a 26 persone. Secondo l’Esercito indiano, i militari di Nuova Delhi hanno risposto a colpi di armi leggere “ingiustificati” provenienti da più postazioni dell’Esercito pachistano a partire dalla mezzanotte scorsa. Il giorno precedente, la notte tra il 24 e il 25 aprile, si sarebbero verificati altri episodi di fuoco sporadico da parte pachistana. Non si segnalano vittime tra i militari indiani. Al momento, le autorità militari di Islamabad non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali sull’accaduto.

Nuova Delhi ritiene che Islamabad sia dietro l’attentato che lo scorso 22 aprile ha provocato 26 morti e 17 feriti a Pahalgam, località turistica nel territorio indiano di Jammu e Kashmir. L’azione è stata rivendicata da un semisconosciuto gruppo armato che si fa chiamare Fronte della resistenza e che, secondo le autorità indiane, è solo una sigla di facciata utilizzata dagli islamisti pachistani dell’Esercito del bene (Lashkar-e-Taiba, LeT), che a loro volta sarebbero infiltrati ed eterodiretti dai servizi d’intelligence di Islamabad. I media indiani puntano anche il dito contro il potente capo dell’esercito pachistano, generale Asim Munir, che pochi giorni prima dell’attacco, in un discorso considerato provocatorio da Nuova Delhi, aveva definito il Kashmir la “vena giugulare” del Pakistan e ribadito l’impegno d’Islamabad a sostenere la lotta della popolazione musulmana locale contro il potere centrale indiano.

Nei fatti, non ci sono prove concrete del coinvolgimento del Pakistan nell’attentato di Pahalgam. Eppure lo scorso 24 aprile l’India ha deciso di sospendere immediatamente il rilascio di visti per i cittadini pachistani, mentre tutti quelli già rilasciati saranno revocati a partire dal 27 aprile (con la sola eccezione dei visti medici, che rimarranno validi fino al 29 aprile). Nuova Dehli ha quindi invitato tutti i cittadini pachistani attualmente presenti in India a lasciare il Paese entro la scadenza dei loro visti, come ora modificata. Parallelamente, il governo ha fortemente sconsigliato ai cittadini indiani di recarsi in Pakistan, raccomandando a coloro che si trovano già nel Paese di rientrare in India al più presto. Il giorno prima, 23 aprile, Nuova Delhi aveva già annunciato attraverso il suo segretario agli Esteri, Vikram Misri, una serie di importanti misure di ritorsione contro Islamabad, tra cui spicca in particolare la sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo.

Il blocco delle chiuse delle dighe sul fiume Indo priva di fatto il Pakistan di una fonte strategica di acqua e di energia. Un gesto che le autorità di Islamabad considerano come “un atto di guerra”. Il corso del fiume, il più importante del Pakistan, non era mai stato bloccato da quando, il 19 settembre del 1960, i due Paesi firmarono il Trattato sulle acque del fiume Indo. Il blocco potrebbe essere un colpo micidiale per il Pakistan, il cui settore agricolo, nel 2023, ha rappresentato circa il 23,3 per cento del Pil del Paese, occupando, nel 2022 il 36,4 per cento circa della popolazione attiva. Il settore, inoltre, è stato recentemente colpito dall’accordo che il governo di Islamabad ha raggiunto con il Fondo monetario internazionale, un accordo che comporta l’aumento progressivo delle tasse sui redditi agricoli, che potrebbe arrivare fino al 45 per cento entro la fine di quest’anno, in modo da aumentare le entrate fiscali.

Nel 2022 il settore idroelettrico ha garantito il 25 per cento circa della produzione nazionale di energia del Pakistan, in grandissima parte proprio grazie allo sfruttamento del flusso di acque dell’Indo, che alimenta le principali centrali idroelettriche del paese: Tarbela, Mangla e Ghazi-Barotha. Il bacino del fiume ha un potenziale idroelettrico stimato attorno ai 60 mila megawatt, ma solo una parte è attualmente sfruttato. Il governo di Islamabad punta ad aumentare la quota di energia rinnovabile (inclusa quella l’idroelettrica) fino al 60 per cento, entro il 2030. Ma l’obiettivo diventerebbe irraggiungibile se davvero l’India bloccasse il corso del fiume.

La risposta del Pakistan non si è comunque fatta attendere, ed è stata forse ancora più dura del previsto. Nel corso di una riunione del Comitato per la sicurezza nazionale presieduta del primo ministro Shehbaz Sharif, il 24 aprile è stata decretata la chiusura immediata del valico di frontiera di Wagah con l’India e la sospensione di tutti gli accordi bilaterali, incluso il trattato di Simla del 1972 che pose fine alla guerra tra i due Paesi. Il governo pachistano ha definito le misure indiane “unilaterali, irresponsabili e prive di legittimità giuridica”, annunciando che “tutti gli accordi bilaterali con l’India, incluso il trattato di Simla, saranno sospesi fino a quando Nuova Delhi non cesserà le sue presunte azioni ostili”. Tra le misure adottate figurano poi la chiusura dello spazio aereo pachistano ai voli operati da vettori indiani; la sospensione di tutti gli scambi commerciali bilaterali, anche tramite Paesi terzi; l’espulsione dei consiglieri militari indiani e parte del personale diplomatico dell’Alta commissione a Islamabad entro il 30 aprile. Il numero complessivo dei diplomatici indiani sarà ridotto a 30.

Il Pakistan ha inoltre revocato i visti rilasciati nell’ambito dello schema di esenzione dell’Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc) per i cittadini indiani, ad eccezione dei pellegrini sikh, che dovranno comunque lasciare il Paese entro 48 ore. A rincarare ulteriormente la dose ci ha pensato il ministro della Difesa Khawaja Asif, che in conferenza stampa ha parlato di informazioni raccolte dal Pakistan secondo cui sarebbe l’India ad aver pianificato attacchi terroristici in territorio pachistano, aggiungendo che nell’eventualità in cui tali attentati venissero effettivamente condotti Nuova Delhi “pagherà un caro prezzo”. “La nostra risposta sarà proporzionata e tempestiva”, ha detto Asif, senza tuttavia fornire prove dirette a sostegno delle accuse. Il vicepremier e ministro degli Esteri del Pakistan, Ishaq Dar, da parte sua, ha invitato l’India a fornire prove concrete sul presunto coinvolgimento di Islamabad nell’attacco armato di Pahalgam. “L’India ha ripetutamente giocato la carta delle accuse infondate. Se ha davvero prove del coinvolgimento del Pakistan, le condivida con noi e con il mondo intero”, ha dichiarato Dar durante una conferenza stampa tenuta dopo una riunione ad alto livello del Comitato per la sicurezza nazionale. Il Pakistan, ha aggiunto il ministro, “resta impegnato nel contrasto al terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni”, sottolineando che qualsiasi tentativo di politicizzare una tragedia umanitaria rischia di minare ulteriormente le già tese relazioni bilaterali.

Una serie di botta e risposta che fanno lievitare il rischio di un conflitto armato tra i due Paesi. Il capo dell’Esercito indiano, generale Upendra Dwivedi, si è recato ieri a Srinagar, capoluogo del territorio di Jammu e Kashmir, per valutare la situazione di sicurezza nell’area, in particolare lungo la Linea di controllo (LoC). È qui, ora, che vengono puntati i riflettori. La LoC nasce proprio in base all’accordo di Simla del 1972, lo stesso che il Pakistan ha deciso oggi di sospendere e che rappresentava il principale riferimento giuridico dei malfermi rapporti tra le due potenze nucleari del subcontinente.

Il trattato fu firmato il 2 luglio 1972 nella città indiana di Shimla, nello Stato dell’Himachal Pradesh, dai leader dei due Paesi: il primo ministro indiano Indira Gandhi e il presidente pachistano Zulfikar Ali Bhutto. Venne redatto a seguito della guerra indo-pachistana del dicembre 1971, che aveva portato alla secessione del Pakistan orientale e alla nascita del Bangladesh. Entrambe le parti, nel testo, s’impegnavano a non modificare la Linea di controllo, comunque già teatro negli ultimi anni di frequenti violazioni. Il conflitto del Kashmir si trascina dal 1947, dalla nascita dell’India (a prevalenza induista) e del Pakistan (a prevalenza islamico) come Stati indipendenti dall’impero coloniale britannico e dall’adesione del principato di Jammu e Kashmir all’India, non riconosciuta dal Pakistan. Entrambi i Paesi rivendicano l’intera regione, divisa tra il Territorio indiano di Jammu e Kashmir e le divisioni amministrative pachistane di Azad Kashmir e Gilgit-Baltistan. Si distinguono diverse guerre indo-pachistane legate al territorio kashmiro: del 1947, del 1965 e del 1999. Nonostante le successive dichiarazioni di pace e cessate il fuoco, l’ultima nel 2003, si verificano ancora schermaglie lungo la Linea di controllo (Loc), la demarcazione militare non corrispondente al confine internazionale. Dal 2016 ci sono stati diversi momenti di tensione, in particolare nel febbraio del 2019, dopo l’attentato di Pulwama, nel Kashmir indiano, seguito da raid aerei da entrambe le parti. Quello del Kashmir non è solo un conflitto tra i due Stati, ma anche interno all’India, esploso soprattutto a partire dal 1989, anno delle prime azioni dei ribelli separatisti. Si stima che dagli anni Ottanta, tra le azioni pachistane e la repressione indiana, siano morte in Kashmir almeno 40 mila persone, per la maggioranza civili. Nel 2019 il Jammu e Kashmir indiano è stato privato della sua autonomia e declassato da Stato in Territorio.

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Giò Barbera Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore del portale areamediapress.com e di Radiocom.tv