Per Saman Abbas nessuna pietà da parte della famiglia
"Nessuno dei protagonisti di questo processo, a cominciare dal padre, ha voluto degnare questa ragazza di una espressione di pietà, se non strumentale o capziosa". Sono le parole, durissime, del procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci pronunciate in apertura della requisitoria del processo per l'omicidio di Saman Abbas. "Nessuno - ha aggiunto - ha avuto un cedimento a un sentimento di umana pietà verso l'orrore, lo strazio che è stato compiuto a questa ragazza".
L'omicidio della 18enne pachistana Saman Abbas, avvenuto a Novellara l'1 maggio del 2021, è "una vicenda terribile, di una tragicità immane", ha detto, in cui "la semplice laconicità del capo di imputazione indica il più odioso, atroce, aberrante e malvagio delitto che ci possa essere: quello commesso dai genitori verso una figlia, con l'aiuto di altri familiari (due cugini e uno zio)". Il procuratore ha quindi parlato della necessità di una sentenza "che abbia un senso restitutorio dell'oltraggio alla vita che è stato compiuto con questo barbaro e brutale omicidio".
Paci evidenzia come, nelle ultime ore prima della morte, Saman avesse perso fiducia anche nel suo fidanzato Saqib. "Tra le cose più toccanti di questa indagine, ci sono le chat che Saman si scambia con l'assistente sociale Francoise Agnello. Le trovo strazianti per tante ragioni. Lei fa ritorno a casa per prendere i documenti nella fiduciosa aspettativa che, di fronte al suo desiderio di libertà, la lasciassero andare". Poi però emerge "la consapevolezza che mano a mano affiora di trovarsi completamente da sola perchè le era venuta meno anche la fiducia nell'uomo con cui voleva costruire la sua vita". Questo perchè, spiega Paci, Saqib "aveva assecondato" la sua scelta di tornare a casa. Un comportamento che, dice, è possibile giustificare col fatto che i suoi genitori avevano subito delle minacce "con le armi" in Pakistan dai familiari di Saman.
"Anche questo ragazzo ha dovuto scontrarsi con un sistema che non era soltanto meramente di relazione, ma diventava una fonte di pericolo per l'incolumità sua e dei suoi familiari". Il procuratore, nel corso della requisitoria contro i 5 parenti imputati (uno ancora latitante, la madre) per la morte della ragazza -che aveva rifiutato un matrimonio combinato- ha paragonato la famiglia Abbas a una 'ndrina calabrese, cioè una cosca della 'ndrangheta. In particolare, fa riferimento al "sistema di valori" a cui tutti gli Abbas si attenevano e cita delle intercettazioni tra il capofamiglia Shabbar Abbas e il figlio minore, captate dopo il delitto, che "avevano come scopo quello di mantenere solida la struttura del clan". Paci si è soffermato poi sulla figura del fratello minore di Saman, evidenziandone la "limitata capacità intellettiva data la minore età (all'epoca dell'omicidio, ndr)". L'accusa ha così ridimensionato la figura di un testimone che le difese hanno, secondo lui, "sopravvalutato", solo per confutarne le dichiarazioni fatte contro i loro assistiti. "Stiamo parlando di un ragazzo immaturo, che aveva 16 anni, con evidenti difficoltà linguistiche e una barriera culturale enorme, anch'egli vittima di una condizione familiare oppressiva", dice Paci che, però, lo valorizza nella presunta scena del delitto che il ragazzo sostiene di avere visto.
“Nel corso del dibattimento, la sua deposizione è servita a mettere in evidenza il ruolo della madre che dice che era rimasta a guardare, come risulta anche dalle telecamere”.
Sul fatto che il fratello di Saman sia stato suggestionato dal video girato sul web, una tesi adottata dalle difese, il procuratore ha ribattuto “tutto il mondo ha visto quelle immagini, non si capisce perché non poteva vederle anche lui”.
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