Sudan, oltre 1.200 casi di violenze di genere in due anni di guerra
Sono stati documentati 1.294 casi di violenza sessuale e di genere in 14 Stati del Sudan tra il 2023, l’anno in cui è scoppiato il conflitto civile nel Paese, e il 2025. A renderlo noto è la Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (Siha Network), che in un nuovo rapporto attribuisce la maggior parte delle violazioni alle Forze di supporto rapido (Rsf).
Secondo l’organizzazione per i diritti delle donne, nell’87% dei casi in cui è stato possibile identificare i responsabili, questi sono riconducibile alle Rsf. Nel documento, la violenza sessuale viene definita “sistematica” e non un effetto collaterale del conflitto in corso.
Il rapporto descrive un modello ricorrente in tre fasi che accompagna l’avanzata dei paramilitari. La prima fase, indicata come “presa del controllo”, è caratterizzata da invasioni di abitazioni e saccheggi, spesso accompagnati da stupri. Con il consolidamento del controllo militare, le violenze si spostano negli spazi pubblici, come strade e mercati. L’ultima fase, definita “prigionia”, prevede la detenzione prolungata di donne in abitazioni private o strutture informali, dove vengono sottoposte a torture, stupri di gruppo e matrimoni forzati.
Lo stupro rappresenta il 77% degli episodi per i quali sono disponibili informazioni dettagliate. La Siha Network ha inoltre registrato 225 casi che coinvolgono minori, in prevalenza bambine e ragazze tra i 4 e i 17 anni, pari al 18% del totale.
Il rapporto evidenzia una marcata dimensione di profilazione etnica. In Darfur, donne appartenenti a gruppi non arabi, tra cui Masalit, Berti, Fur e Zaghawa, sarebbero state prese di mira in modo diretto. Nello Stato di Al-Gezira, testimoni hanno riferito che ragazze e donne dalla pelle più chiara, di età compresa tra i 14 e i 30 anni, sarebbero state selezionate come “trofei”.
La Siha Network segnala inoltre la detenzione di oltre 840 donne da parte delle Forze armate sudanesi in aree sotto controllo governativo, tra cui Wad Madani, Gedaref e Port Sudan. Molte delle detenute affrontano accuse di collaborazione con le Rsf basate sull’origine etnica o sul luogo di residenza.
Secondo il rapporto, almeno 291 donne risultano ancora scomparse o vittime di sparizione forzata. Il peso psicologico delle violenze e dello stigma avrebbe spinto alcune sopravvissute al suicidio: l’organizzazione riferisce che almeno 13 donne nello Stato di Al-Gezira si sarebbero gettate nel Nilo per sfuggire al trauma.
Il Sudan guida la lista globale delle peggiori crisi umanitarie stilata dall’organizzazione umanitaria International Rescue Committee (Irc), mentre le parti in conflitto continuano una guerra che ha causato decine di migliaia di morti.
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