Il Sud Sudan è sull’orlo di una nuova guerra civile, sullo sfondo il ruolo di Khartum

Dopo anni di apparente calma, che avevano fatto sperare in una transizione politica quanto meno ordinata, il Sud Sudan rischia di sprofondare in una nuova guerra civile, che potrebbe a sua volta degenerare in un conflitto regionale dalle conseguenze imponderabili. Sullo sfondo resta il conflitto in Sudan, che nel frattempo non accenna a placarsi, e il ruolo svolto da alcune potenze regionali, in primis l’Uganda. È notizia di oggi, infatti, che il governo di Kampala ha schierato le sue forze speciali nella capitale del Sud Sudan, Giuba, in risposta alle crescenti tensioni tra la fazione armata del presidente Salva Kiir e quella fedele al suo primo vicepresidente Riek Machar, storico rivale del capo dello Stato fino alla firma dell’accordo di pace del 2018. “Due giorni fa le nostre unità delle forze speciali sono entrate a Giuba per proteggerla”, ha affermato in una serie di post sulla piattaforma X il capo dell’esercito ugandese, Muhoozi Kainerugaba, che è anche il figlio del presidente Yoweri Museveni. “Noi dell’Updf (Forza di difesa popolare dell’Uganda) riconosciamo un solo presidente del Sud Sudan, Salva Kiir. Qualsiasi mossa contro di lui è una dichiarazione di guerra contro l’Uganda”, ha affermato Kainerugaba in un post. Già dopo lo scoppio della guerra civile in Sud Sudan, nel 2013, l’Uganda aveva schierato le sue truppe a Giuba per sostenere le forze di Kiir contro Machar, per poi ritirarle nel 2015. Le truppe ugandesi sono state nuovamente schierate nella capitale sud sudanese nel 2016, dopo la ripresa degli scontri tra le due parti, per poi essere nuovamente ritirate in seguito all’accordo di pace del 2018. L’Uganda teme ora che il riaccendersi del conflitto in Sud Sudan possa spingere ondate di rifugiati oltre confine e creare potenziale instabilità all’interno del suo territorio.
Le tensioni si sono riaccese dopo che la scorsa settimana le forze di sicurezza hanno arrestato il ministro del Petrolio, Puot Kang Chol, il ministro per la Costruzione della pace, Stephen Par Kuol (in seguito rilasciato), il vice capo dell’esercito Gabriel Duop Lam – che è anche il capo di Stato maggiore ad interim dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan all’opposizione, Splm-Io, il principale gruppo armato di opposizione firmatario dell’accordo di pace – e altri alti ufficiali militari alleati di Machar, alimentando timori per la tenuta del già fragile accordo che ha posto fine a una guerra civile durata cinque anni e costata la vita a quasi 400 mila persone. L’esercito del Sud Sudan ha inoltre schierato ingenti forze di sicurezza attorno alla residenza di Machar. Sullo sfondo ci sono i violenti combattimenti che sono scoppiati lo scorso 4 marzo a Nasir, una piccola città nello Stato nord-orientale dell’Alto Nilo, che hanno visto contrapposti l’esercito sud sudanese e i giovani dell’Esercito Bianco, una milizia formata da combattenti di etnia nuer e considerata vicina a Machar. Tuttavia, mentre quest’ultimo nega ogni responsabilità per queste violenze, il capo di Stato maggiore delle sue forze armate, il tenente generale Gabriel Duop Lam – numero due dell’esercito sud sudanese dal 2022 – è stato arrestato presso il quartier generale dell’esercito a Giuba, in quanto l’esercito sud sudanese accusa l’Splm-Io di sostenere l’Armata Bianca.
L’accordo siglato nel 2018 tra Kiir e Machar – in base al quale il governo e l’opposizione armata hanno di fatto formato un comando congiunto, con l’obiettivo di creare un esercito nazionale unificato – è stato a lungo precario. Sebbene abbia avuto il merito, finora, di impedire alle parti in conflitto di scontrarsi su vasta scala, il Paese è teatro regolarmente di violenze a livello locale legate alla rivalità tra Kiir e Machar, ovvero tra i due principali gruppi etnici del Paese: i dinka e i nuer. Ma la precaria distensione nazionale è ora minacciata, in gran parte a causa della guerra civile che infuria nel vicino Sudan. Scoppiato nell’aprile 2023, il conflitto tra l’esercito sudanese guidato dal generale Abdel Fattah al Burhan e le Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohammed Hamdan Dagalo “Hemeti” ha infatti messo una pressione crescente sul governo di Kiir. In primo luogo, il Sud Sudan ha perso due terzi delle sue entrate statali dopo il danneggiamento subito dall’oleodotto del Grande Nilo, che si estende per circa 1.600 chilometri dal sito petrolifero di Unity, nel Sud Sudan, fino alla raffineria di petrolio greggio di Port Sudan, sulla costa sudanese del Mar Rosso. I combattimenti hanno di fatto impedito le riparazioni della struttura, che a tutt’ora non è funzionante, mettendo così in ginocchio la già disastrata economia sud sudanese. Uno sviluppo che ha fatto sprofondare il governo di Kiir in una gravissima crisi, mettendo a dura prova la capacità del capo dello Stato di tenere a galla il suo sistema di potere.
In questo contesto, come sostengono gli esperti del think tank International Crisis Group (Icg), Kiir ha tentato di mantenere buoni rapporti sia con al Burhan che con Dagalo. Così, soprattutto nel primo anno di guerra in Sudan, il presidente sudanese è stato percepito dapprima come più vicino a Burhan, soprattutto perché l’oleodotto in questione termina a Port Sudan, dove l’esercito sudanese ha stabilito la sua sede di governo dopo essere stato cacciato da Khartum. L’infrastruttura, tuttavia, attraversa anche il territorio controllato dalle forze di Dagalo (nello specifico il Kordofan meridionale e settentrionale), di qui la necessità di conservare buoni rapporti anche con le Rsf e il tentativo, da parte di Kiir, di avviare dei negoziati ad alto rischio con le milizie del generale Dagalo per ottenere la ripresa dei flussi di petrolio. Un fatto che sembra aver avvicinato Kiir alle Rsf e agli Emirati Arabi Uniti – ampiamente riconosciuti come i principali sostenitori di Dagalo – deteriorando drasticamente i rapporti tra Giuba e Port Sudan che sono ora al loro punto più basso, soprattutto a seguito di una nuova alleanza politica tra le Rsf e il Movimento di liberazione del popolo sudanese-Nord (Splm-N), gruppo ribelle sudanese allineato a Giuba e attivo nel Sudan meridionale.
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