La Cina controlla un quarto dei porti dell’Africa

Mar 12, 2025 - 03:30
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La Cina controlla un quarto dei porti dell’Africa

Con un totale di 231 porti commerciali esistenti in Africa, le aziende cinesi sono presenti in oltre un quarto degli “hub” marittimi del continente, essendo azioniste attive di 78 porti in 32 Paesi. Lo evidenzia nel suo ultimo studio il Centro per gli studi strategici sull’Africa, istituto affiliato al dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, specializzato in ricerche focalizzate su sicurezza e geopolitica. Secondo lo studio, le aziende statali cinesi sono azioniste attive di circa 78 porti come costruttori, finanziatori o operatori diretti, con una predilezione per i terminal dell’Africa occidentale (35 porti), seguiti dalle coste orientale (17), australe (15) e settentrionale (11). Si tratta, osservano i tecnici, di una presenza molto più capillare rispetto a quella di altre regioni: a titolo di confronto, l’Asia ospita 24 porti costruiti o gestiti dalla Cina, l’America latina e i Caraibi dieci. In alcuni scali africani le aziende cinesi dominano l’intera impresa di sviluppo portuale, dalla finanza alla costruzione, alle operazioni e alla proprietà azionaria. Grandi conglomerati come la China Communications Construction Corporation (Cccc) si sono aggiudicati i lavori come appaltatori principali, assegnando in seguito subappalti ad aziende sussidiarie come la China Harbor Engineering Company (Chec): è questo il caso del porto nigeriano di Lekki, uno dei più trafficati dell’Africa occidentale, dove la Chec ha effettuato i lavori di progettazione e costruzione dopo aver ottenuto un prestito dalla China Development Bank (Cdb), acquisendo al termine una quota finanziaria del 54 per cento nel porto, che gestisce con un contratto di locazione di 16 anni. Oltre al porto di Lekki, in Africa occidentale le aziende cinesi detengono oltre il 50 per cento di quota nel terminal di Kribi, in Camerun (66 per cento) e in quello di Lomé, in Togo (50 per cento). In questo quadro si inserisce il più ampio piano di sviluppo, da parte di Pechino, di una connettività globale articolata lungo sei corridoi, altrettante rotte e diversi porti e Paesi del mondo: si tratta dell’Iniziativa Nuova via della Seta (Belt and Road Initiative, Bri), progetto dal quale l’Italia si è sfilata a fine 2023 ma che continua a rappresentare per la Cina un progetto strategico di primaria importanza, e per l’Africa un’opportunità difficilmente trascurabile. Tre dei sei corridoi del piano cinese attraversano infatti il continente, approdando nell’Africa orientale (Kenya e Tanzania), nella regione egiziana di Suez e in Tunisia. Un fattore che conferma, una volta di più, il ruolo centrale che il continente africano riveste nelle ambizioni globali di Pechino. Nel piano quinquennale Bri (2021-2025), del resto, si sottolinea la volontà di trasformare la Cina in “un forte Paese marittimo”, parte di un più ampio ringiovanimento come “Grande potenza” dotata di “punti di forza strategici all’estero”. Nello sviluppo della Nuova via della Seta, Pechino ha inoltre progettato di collegare i nuovi corridoi commerciali e i 16 Paesi africani senza sbocco al mare ai porti, come strategia di affaccio su nuovi mercati. Lo studio si concentra anche sulle ripercussioni in termini di potere territoriale che la gestione di contratti di locazione operativa o di concessioni portuali alla Cina comporta. Tramite le sue aziende, Pechino detiene concessioni operative in 10 porti africani, assicurandosi un controllo strategico degli accessi. Oltre ai benefici finanziari dati dalle attività marittime, infatti, l’operatore portuale determina l’assegnazione dei moli, accetta o nega gli scali portuali e può offrire tariffe e servizi preferenziali per le navi e il carico della sua nazione. Il controllo sulle operazioni portuali da parte di un attore esterno – osservano i relatori del rapporto – solleva dunque preoccupazioni in termini di sovranità e sicurezza, motivo che ha spinto alcuni Paesi a vietare la gestione da parte di operatori portuali stranieri. Nonostante i rischi di perdita del controllo, tuttavia, la tendenza in Africa è quella di privatizzare le operazioni portuali per migliorarne l’efficienza. Fra i rischi collegati ad una gestione portuale affidata ad attori esterni c’è peraltro quello legato al supporto logistico ad attività militari. Il porto Doraleh di Gibuti, ad esempio, per anni promosso da Pechino con scopi unicamente commerciali, è stato ampliato per ospitare nel 2017 una struttura navale. Da quell’anno il piccolo Paese del Corno d’Africa ospita così la prima base militare cinese all’estero, con un modello che secondo alcuni potrebbe essere replicato altrove nel continente. La crescente presenza di aziende cinesi nei porti africani promuove inevitabilmente anche gli obiettivi militari di Pechino. In 36 dei 78 siti portuali in cui sono coinvolte le aziende cinesi – oltre il 46 per cento del totale – possono attraccare le navi della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione. È il caso dei porti di Abidjan (Costa d’Avorio), Gentil (Gabon), Casablanca (Marocco), Tamatave (Madagascar), Maputo (Mozambico), Tincan (Nigeria), Pointe-Noire (Repubblica del Congo), Victoria (Seychelles), Durban e Simon’s Town (Sudafrica). Alcuni di questi porti, si precisa ancora nel rapporto, sono stati negli anni anche basi di partenza per esercitazioni militari dell’Esercito Popolare di Liberazione. Tra questi ci sono i porti di Dar es Salaam (Tanzania), Lagos (Nigeria), Durban (Sudafrica) e Doraleh (Gibuti). Quest’ultimo ha coinvolto esercitazioni con l’Etiopia, Paese che dall’indipendenza conquistata dalla vicina Eritrea (1993) è ormai senza sbocco sul mare e persegue un’aggressiva campagna politica per riconquistarlo. Le truppe cinesi hanno anche fatto uso di strutture navali e terrestri per alcune delle loro esercitazioni, tra cui la base navale di Kigamboni in Tanzania, il centro di addestramento militare completo di Mapinga e la base aerea di Ngerengere, tutte costruite da aziende cinesi. La Awash Arba War Technical School ha svolto uno scopo simile in Etiopia, così come le basi di altri paesi. In totale, secondo il centro studi statunitense dal 2000 ad oggi l’Esercito Popolare di Liberazione ha effettuato in Africa 55 scali portuali e 19 esercitazioni militari bilaterali e multilaterali. Una presenza che si declina, oltre agli impegni militari diretti, anche nella gestione della logistica militare. Un caso fra molti è quello dell’impresa statale cinese Hutchison Ports, gruppo che detiene una concessione di 38 anni dalla Marina egiziana per gestire un terminal presso la base navale di Abu Qir, a nord-est di Alessandria.

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Giò Barbera Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore del portale areamediapress.com e di Radiocom.tv