India: un anno segnato da problemi con Paesi del vicinato si chiude con il disgelo con la Cina
Dopo un 2023 straordinario, grazie alla presidenza del G20, al primato mondiale della popolazione e a una crescita record, l’India ha vissuto un 2024 segnato da preoccupazioni per le relazioni con quasi tutti i Paesi del vicinato, la priorità dichiarata della sua politica estera. A complicare il quadro ci sono anche il rallentamento economico e i problemi giudiziari del gruppo Adani, i cui progetti sono andati spesso di pari passo con le ambizioni geopolitiche del primo ministro Narendra Modi. Il premier, inoltre, si è insediato per il suo terzo mandato, a giugno, dopo aver perso la maggioranza assoluta alle elezioni di primavera. Nuova Delhi ha risposto con una certa prontezza a quasi tutte le sfide, ma alcune delicate questioni restano aperte, soprattutto le frizioni col Bangladesh. I delicati equilibri con i vicini e l’imminente cambio di amministrazione negli Stati Uniti hanno probabilmente concorso a portare l’India verso il disgelo col vicino più grande e potente: la Cina. Quasi al termine di un 2024 problematico, alla fine di ottobre, è giunto infatti l’annuncio di un accordo sul disimpegno militare e il pattugliamento nel settore occidentale della Linea di controllo effettivo (Lac), la zona di confine contesa, primo passo di un percorso di normalizzazione, a più di quattro anni dallo scontro fra truppe del 15 giugno 2020 nella Valle del Galwan. L’anno si è aperto all’insegna della tensione con le Maldive, il cui presidente Mohamed Muizzu, insediatosi nel novembre del 2023, ha chiesto all’India di ritirare il suo contingente militare, di poche decine di unità, dallo Stato insulare. Parallelamente il leader maldiviano ha stretto i legami con la Cina, dove si è recato come prima visita all’estero. Malé e Pechino hanno anche firmato un accordo di “fornitura di assistenza militare da parte della Cina”, i cui dettagli non sono stati resi noti. Un episodio ha evidenziato il picco negativo delle relazioni indo-maldiviane: a gennaio, Modi, dopo una visita nelle Laccadive, Territorio dell’Unione indiana, ha pubblicato una serie di post sul social network X per descriverne le meraviglie e promuovere l’arcipelago come destinazione turistica. Allo “spot” di Modi sono seguite reazioni negative da parte di alcuni esponenti del governo e parlamentari maldiviani, con insulti al leader indiano e commenti razzisti. Dopo la convocazione dei rispettivi ambasciatori, il governo delle Maldive ha preso le distanze dalle “osservazioni dispregiative” affermando che si trattava di “opinioni personali”. Molto di più ha dovuto fare l’India per risollevare le sorti della relazione. Dopo il ritiro dei suoi militari, Modi ha accolto Muizzu a Nuova Delhi a giugno per il suo insediamento e di nuovo a ottobre, per definire un nuovo quadro di cooperazione: è stato adottato un documento di visione per una “partnership onnicomprensiva economica e di sicurezza marittima”, sono stati lanciati alcuni progetti e firmati diversi protocolli d’intesa, ma soprattutto l’India si è impegnata a sostenere lo sviluppo delle Maldive attraverso un’assistenza finanziaria di circa 357 milioni di dollari e un accordo di swap valutario del valore di 400 milioni di dollari. I due Paesi, inoltre, hanno concordato di avviare negoziati per un accordo di libero scambio. Tutto ciò ha permesso a Muizzu di tornare nel suo Paese dichiarando di aver concluso una vista “storica”. Con lo Sri Lanka, invece, l’India ha giocato d’anticipo: già a febbraio, mesi prima che Anura Kumara Dissanayake, leader di un partito comunista marxista-leninista, il Fronte di liberazione del popolo (Jvp), fosse eletto presidente, il governo indiano ha invitato il politico, ritenuto ideologicamente più vicino alla Cina, per una visita in cui ha avuto diversi colloqui e preso visione di alcune realtà aziendali e programmi scientifici. Dopo aver vinto le elezioni presidenziali ed essersi insediato, Dissanayake, è tornato in India scegliendola come meta del suo primo viaggio ufficiale all’estero e insieme a Modi, pochi giorni fa, ha firmato una dichiarazione congiunta per un “partenariato per un futuro condiviso”. I due leader si sono impegnati a rafforzare la cooperazione a tutto campo, con un focus sulla cooperazione economica e di sicurezza. Nuova Delhi ha ottenuto ciò che più le premeva: l’impegno del governo dello Sri Lanka a non consentire che il suo territorio venga utilizzato in alcun modo ostile alla sicurezza dell’India e alla stabilità regionale. Un altro cambio di governo ha impensierito Nuova Delhi: quello a Katmandu. A luglio, l’ennesima svolta della complessa vicenda del comunismo nepalese ha riportato sulla poltrona di primo ministro del Nepal il leader del Partito comunista marxista-leninista unificato (Cpn-Uml) Khadga Prasad Sharma Oli, subentrato al leader del Partito comunista – Centro maoista (Cpn-Mc) ed ex alleato Pushpa Kamal Dahal. Pochi mesi dopo, Oli, rompendo una tradizione di lunga data, ha scelto la Cina e non l’India come prima meta di una sua trasferta all’estero. A portarlo a Pechino è stato soprattutto l’accordo sulla Nuova via della seta o Belt and road initiative (Bri), firmato nel 2017, ma mai effettivamente decollato. Oli è tornato con la firma di un accordo quadro, non proprio un nuovo accordo ma un’estensione del precedente che dovrebbe portare nei prossimi tre anni a identificare e avviare progetti specifici. Il colpo più duro per l’India, però, è arrivato dal Bangladesh, con la caduta del governo di Sheikh Hasina. L’ex prima ministra, al potere ininterrottamente dal 2009, ha certamente avuto in Modi, al potere dal 2014, il suo alleato più stretto. La leader politica, fuggita dal suo Paese il 5 agosto sotto la spinta di un massiccio movimento di protesta, ha trovato rifugio proprio in India. Tuttora si trova a Nuova Delhi, secondo indiscrezioni della stampa indiana in una casa nella Lutyens Bungalow Zone, area che ospita numerosi uffici amministrativi. Dal suo alloggio indiano ha fatto sentire la sua voce in alcune occasioni, come la recente festività del Giorno della vittoria nella Guerra di liberazione bengalese, una voce ostile al capo del governo ad interim di Dacca, il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus. L’esecutivo pro tempore ha più volte sollevato la questione delle esternazioni di Hasina. L’ex premier è oggetto di centinaia di inchieste. Su di lei indaga anche, per crimini contro l’umanità e genocidio, il Tribunale per i crimini internazionali (Ict) di Dacca, che ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti. Il governo ad interim del Bangladesh ha reso noto di aver avviato la procedura per chiedere l’estradizione e di averne dato comunicazione al governo indiano con “una nota verbale”, cioè un messaggio diplomatico.. L’ospitalità concessa alla leader bengalese non è l’unico problema. Da quando è caduto il governo Hasina Nuova Delhi, a cominciare da Modi, ha sollevato più volte la questione della sicurezza della minoranza indù in Bangladesh. Dacca, iniziando da Yunus, ha respinto come pretestuose le accuse di violenze contro le comunità minoritarie, che sarebbero state solo episodiche. Inoltre, l’India è stata invitata a non interferire negli affari interni del Bangladesh. Infine, esponenti del governo ad interim hanno a loro volta denunciato un’operazione di disinformazione da parte dei media indiani. I toni si sono accesi quando, alla fine di novembre, un religioso indù è stato arrestato per sedizione a Chittagong, un arresto seguito da manifestazioni violente davanti a due consolati bengalesi in India. Il 9 dicembre, nelle consultazioni bilaterali a Dacca tra il segretario generale del ministero degli Esteri indiano, Vikram Misri, e l’omologo del Bangladesh, Jashim Uddin, entrambe le parti hanno espresso la volontà di costruire relazioni positive, costruzione che richiederà molto lavoro, senza contare che il nuovo Bangladesh sta considerando con interesse altri interlocutori, tra cui il Pakistan, da decenni in contrasto con l’India per il Kashmir. La notizia più importante, la svolta nella risoluzione della crisi di confine con la Cina, è stata annunciata il 21 ottobre dal ministero degli Esteri indiano: un accordo sulle modalità di pattugliamento che ha permesso di completare il ritiro dei militari dai due punti di attrito rimasti, Demchok e le pianure di Depsang. Due giorni dopo l’annuncio, Modi e il presidente cinese, Xi Jinping, si sono incontrati a Kazan, in Russia, che probabilmente ha propiziato l’incontro, avvenuto a margine del 16mo vertice del gruppo Brics. Pochi giorni fa si sono incontrati anche i rappresentanti speciali per i confini: il consigliere per la Sicurezza nazionale indiano, Ajit Doval, e il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che hanno concordato alcune misure per proseguire il ripristino della normalità. I colloqui a livello militare e diplomatico non si erano mai del tutto arrestati, ma certamente c’è stata un’intensificazione negli ultimi mesi. All’origine dell’intesa, presentata dall’India come una vittoria e dalla Cina senza troppa enfasi, ci sono diverse esigenze, interne ed esterne: prevenire ulteriori scontri e vittime, ridurre il costo di una militarizzazione prolungata, mitigare le preoccupazioni della comunità internazionale per l’instabilità regionale e soprattutto concentrarsi su altre priorità strategiche, tra le quali ci sono Taiwan, il Mar Cinese Meridionale e il confronto con gli Stati Uniti per la Cina; la proiezione nell’Indo-Pacifico e l’ascesa globale per l’India; lo sviluppo e la crescita per entrambe. Una stabilizzazione apre anche possibilità di commercio bilaterali, benché a questo proposito occorre ricordare che la Cina è già il principale partner commerciale dell’India. Tutto ciò mentre è in arrivo alla Casa Bianca un nuovo presidente, Donald Trump, che promette dazi a entrambe, ma che è certamente più gradito all’India che alla Cina. L’ambito dell’intesa, comunque, è circoscritto: non si tratta di un accordo che mette fine alle dispute territoriali che si trascinano dalla guerra sino-indiana del 1962. È ancora presto per valutare l’impatto, ma l’allentamento della tensione appare soprattutto un passo pragmatico e forse provvisorio tra parti che restano tuttavia a lungo termine antagoniste.
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