Non donazioni in denaro ma pacchi di riso, Genova aiuta il Sudan
Non donazioni in denaro ma pacchi di riso. Per ascoltare un concerto o ballare con un altro spirito: perché si è scelto di aiutare, anche in Sudan, un Paese ostaggio di un conflitto civile che dall’aprile scorso ha costretto oltre sette milioni di persone a lasciare le loro case. L’idea, con raccolte di beni di prima necessità che hanno già permesso di trasferire centinaia di tonnellate di aiuti umanitari, è di un’associazione nata a Genova. Si chiama Music for Peace anche perché a fondarla è stato un ex direttore artistico di discoteche, Stefano Rebora. “Le note e il ritmo sono il modo migliore per comunicare con i giovani” sottolinea il cooperante in un’intervista con l’agenzia Dire. Parla da Genova, zona Sampierdarena, dove ha sede la sua ong: “un compound rigenerato di 4mila metri quadri”, spiega, “con un piazzale che la trasforma in una piccola città”. Si tengono qui i concerti per le raccolte degli aiuti da inviare. Questa settimana hanno suonato i Modena City Ramblers ma il concetto non cambia. “Portare pacchi e beni di prima necessità per partecipare a una serata”, dice Rebora, “vuol dire essere consapevoli di quali siano gli scopi e di chi si vuole aiutare”. Il Sudan, appunto. “L’ultima volta siamo stati a Omdurman, sulla riva del Nilo di fronte alla capitale Khartoum” ricorda il fondatore di Music for Peace. “Con il supporto dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e in rete con ong locali partner, abbiamo portato dieci tonnellate di farmaci e attrezzature mediche e 80 tonnellate di alimenti, cioè 4mila pacchi-famiglia da 20 chilogrammi: sono stati consegnati porta a porta e sono andati via in un attimo perché i bisogni sono enormi”. Per capire bisogna anche guardare la carta geografica. Le regioni orientali, fino a Port Sudan in riva al mar Rosso, sono sotto il controllo dell’esercito guidato dal generale Abdel Fattah Al-Burhan. Khartoum e altre zone occidentali, in particolare nel Darfur, sono invece presidiate dai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) comandate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemeti. “Passare da una zona all’altra può essere pericoloso e suscitare sospetti da parte dei belligeranti” sottolinea Rebora. “Le aree sicure sono poi sempre di meno: da Port Sudan a Kassala, nell’est, e poi a nord, verso l’Egitto”. Bisognerà tenerne conto per la prossima missione. In calendario è già fissato un periodo tra gennaio e febbraio ma le variabili sono differenti. Unità delle Rsf sono entrate questa settimana a Wad Madani, il capoluogo della regione di Gezira a sud-est di Khartoum. Una conferma, secondo Rebora, che il conflitto è entrato in una fase nuova. “Il Nilo sembra sempre di più la linea di demarcazione tra le due forze” dice il cooperante: “A ovest i paramilitari, a est l’esercito”. Nel mezzo ci sono i civili. “Abbiamo già perso le nostre case a Khartoum e assistito con i nostri occhi alla distruzione delle nostre vite” sottolinea Karim Abdelmoneim, coordinatore del World Food Program (Wfp) a Gezira, citato in una nota dell’organizzazione. “Adesso siamo costretti a fuggire di nuovo, lasciandoci dietro quel poco che ci era rimasto; centinaia di migliaia di persone fuggono a piedi, senza nessun posto dove andare”. Secondo le stime del Wfp, circa la metà di tutto il grano prodotto in Sudan proviene da Gezira, dove ogni anno vengono raccolte in media 350.000 tonnellate, sufficienti a sfamare circa sei milioni di persone. L’organizzazione sottolinea che l’intensificarsi dei combattimenti nella regione, attraversata dal Nilo azzurro, il ramo orientale del fiume, è destinata ad aggravare l’insicurezza anche sul piano alimentare.
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