Un minuto di silenzio nelle scuole italiane per ricordare Giulia
Un minuto di silenzio, come quello osservato nella scuola di Napoli Scialoja Cortese assieme al ministro dell'Istruzione Valditara. Ma anche un minuto di rumore in molti licei d'Italia, quello osservato da studenti e studentesse alle 11 di oggi in onore di Giulia Cecchettin e di tutte le donne abusate di vittime di violenza, in una settimana che culminerà con le marce organizzate per sabato 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. L’omicidio della ragazza sta scuotendo l’opinione pubblica in una ondata emotiva e mediatica in cui si intrecciano riflessione, dolore e rabbia verso quello che è stato un femminicidio in grado di colpire ancora più nel profondo, laddove fosse possibile, la coscienza di buona parte degli italiani, costretti a domandarsi da dove si debba iniziare a mettere mano per fermare la mattanza che vuole una donna uccisa circa ogni 48 ore nel nostro Paese. Ma il silenzio non basta più, anzi. Perché se è vero che ha valore simbolico e di riflessione, nel 2023 e a fronte al numero di donne ammazzate per mano di una cultura di abuso che, in un anno ancora non terminato, conta già 83 vittime (e nella notte in cui viene scritto questo articolo arriva la notizia della morte di una donna, forse la numero 84, per mano del marito settantenne nelle Marche), il silenzio non era stato dato per scontato e così in molte scuole non si è verificato. Con pugni sui banchi e tintinnii di chiavi, a far rumore già ieri erano stati i colleghi di Giulia, studentesse e studenti come lei, all’università di Padova, dove la ragazza la scorsa settimana si sarebbe dovuta laureare, incitati anche dalle parole della sorella Elena: “Non fate un minuto di silenzio per Giulia, ma bruciate tutto ora serve una sorta di rivoluzione culturale”. I primi passi verso questo cambiamento del “non stare più in silenzio” sono stati mossi ieri dove un fiume composto da migliaia di persone, di tutte le età, ha percorso il centro di Padova nella fiaccolata dedicata alla memoria della giovane uccisa dall'ex fidanzato. "Siamo arrabbiate e oggi lo urleremo, non faremo silenzio, faremo rumore" aveva detto al microfono una portavoce dei vari comitati promotori - circoli Lgbt+ e comitati contro i femminicidi e la violenza di genere - aprendo la fiaccolata. "Siamo il grido altissimo di tutte quelle donne che oggi non hanno più voce". La voce è da dare anche alle quasi 14.500 donne che solo lo scorso anno, hanno varcato le porte dei pronto soccorso italiani per cercare cura alle violenze subite. Per molte di loro -circa l'8% - non era la prima volta. A fornire questi dati è stato lo stesso ministro della Salute Orazio Schillaci. D’altronde, è proprio la violenza sulle donne fenomeno che il più delle volte passa sotto silenzio. Secondo l'indagine realizzata dalla Commissione d'inchiesta sul femminicidio, il 65% delle vittime non aveva parlato della violenza con nessuno prima di cadere vittima della violenza. "La più grande alleata della violenza è la solitudine e il pronto soccorso non è il miglior posto per aiutare queste donne, ma sappiamo che prima o poi una donna vittima di violenza passa di là", ha spiegato Vittoria Doretti, direttrice della rete regionale del Codice Rosa in Toscana. Ma nemmeno più silenzio nelle scuole, dalla cattedra e tra i banchi. Con la proposta di un’ora a settimana di ‘’educazione alle relazioni’’ nelle scuole superiori, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sta mettendo a punto il piano che presenterà domani, 22 novembre, insieme alla ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella e al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Che si parta dalla scuola, dato che, ormai è chiaro, la sessualità e l’affetto siano diventate un’urgenza del nostro sistema educativo per provare a fermare queste morti continue per mano di uomini definiti “attenti e tanto premurosi” man mano che il loro controllo culminava con il femminicidio della ex moglie, compagna, fidanzata. “D’altronde, la strategia del silenzio e dei tabù ha fallito, parlare e far parlare i giovani delle tematiche legate alla sessualità e all’affetto è un’urgenza del nostro sistema educativo. Per i giovani è difficile far sentire la propria voce e in questo modo si allarga il divario tra loro e chi dovrebbe educarli”.
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