Abdel Fattah al Sisi traccia il futuro dell'Egitto
Il capo dello Stato egiziano uscente, Abdel Fattah al Sisi, ha stravinto come da previsioni le sue terze elezioni presidenziali, ottenendo un nuovo mandato alla guida del Paese arabo più popoloso del mondo, con i suoi oltre 105 milioni di abitanti, e in continuo boom demografico. I dati definitivi dei risultati delle elezioni presidenziali tenute dal 10 al 12 dicembre in patria e dall’1 al 3 dicembre all’estero indicano una vittoria schiacciante del presidente uscente, 69 anni, in carica dal 2014, con un ampio margine sul suo rivale più vicino, il socialdemocratico Farid Zahran. Al Sisi ha vinto con l’89,6 per cento dei voti e rimarrà dunque al potere almeno fino all’aprile del 2030, quando scadrà ufficialmente il suo nuovo mandato, teoricamente l’ultimo secondo le modifiche alla Costituzione approvate tramite referendum (senza quorum e un’affluenza del 44 per cento) nel 2019. La conclusione senza sorprese delle elezioni presidenziali, convocate in anticipo rispetto alla naturale scadenza del mandato, sancisce l’avvio di una serie di misure normative e finanziare volte a dare respiro alla casse dello Stato, arginando la pressione fiscale sui cittadini. I dati diffusi il 18 dicembre dall’Autorità elettorale nazionale egiziana mostrano che quasi 40 milioni (39.702.451) dei 65 milioni di aventi diritto hanno scelto Al Sisi. Seppur con un ampio margine sui concorrenti, il consenso ad Al Sisi è diminuito rispetto al 97 per cento registrato alle elezioni del 2014 e del 2018. Al Sisi dovrebbe prestare giuramento davanti alla Camera dei rappresentanti prima del prossimo aprile. Gli altri tre candidati hanno ottenuto circa il 10 per cento dei voti. In particolare, Hazem Omar, il candidato del Partito popolare repubblicano, ha ottenuto 1.986.352 voti, con una percentuale del 4,5 per cento. Farid Zahran, il candidato del Partito democratico egiziano, ha ottenuto 1.776.952 di voti, con una percentuale del 4 per cento, mentre Abdel Sanad Yamama, il candidato del partito Wafd, ha ottenuto 822.606 voti, pari all’1,9 per cento. La percentuale di voti non validi – 489.307 – è stata pari all’1,1 per cento del totale dei votanti. Il voto della scorsa settimana ha segnato un tasso d’affluenza del 66,8 per cento, pari a quasi 45 milioni di votanti (44.777.668 elettori). La decisione di anticipare il voto a dicembre, invece che ad aprile 2024, è stata probabilmente presa dall’attuale leadership del Paese in ragione dell’esigenza di implementare, nel più breve tempo possibile, nuove misure di austerità, assicurando però prima, al presidente Al Sisi, un terzo mandato. In un’intervista concessa ad “Agenzia Nova”, l’analista geopolitica Roberta La Fortezza ha affermato: “Politiche economiche restrittive, incidendo sull’economia reale e dunque sulla gestione quotidiana delle spese e della vita dei cittadini, avrebbero potuto provocare conseguenze negative sulla stabilità sociale, potendo generare crescente malcontento e dunque un aumento della contestazione sociale; tutte dinamiche, queste, che avrebbero potuto impattare negativamente anche sull’espressione del voto”. “Con ogni probabilità, dopo le elezioni presidenziali, l’Egitto procederà con una nuova svalutazione della sua valuta, la quarta dal marzo 2022, e con un ulteriore aumento dei tassi di interesse”, ha affermato La Fortezza nell’intervista a “Nova”. Tra le condizioni previste dall’accordo negoziato con il Fondo monetario internazionale (Fmi) a ottobre del 2022 per un prestito da 3 miliardi di dollari in 46 mesi nell’ambito dell’Extended Fund Facility (Eff), vi era anche la necessità di operare un passaggio a un regime di tassi flessibile, ponendo fine al meccanismo di mantenimento forzato del livello di cambio desiderato per il tramite di un drenaggio delle riserve in valuta estera. Al riguardo, l’esperta ha detto: “Dopo aver adottato per un certo periodo un regime a cambi flessibili, proprio per favorire i negoziati con l’Fmi, da marzo del 2022 la Banca Centrale egiziana è tornata a seguire un regime di cambio pressoché fisso”. L’economia e i rapporti con l’Fmi segneranno le scelte della prossima leadership egiziana. “Proprio quello dei rapporti con l’Fmi sarà un dossier centrale per la prossima presidenza egiziana. Come confermato dalla numero uno dell’Fmi, Kristalina Georgieva, l’istituzione finanziaria internazionale potrebbe decidere di aumentare la linea di credito Eff fornita all’Egitto, portando il prestito da 3 a 5 miliardi di dollari, in ragione dell’impatto della guerra nella vicina Striscia di Gaza”, ha ricordato La Fortezza. Secondo quanto dichiarato dai vertici dell’Fmi, infatti, la guerra in corso tra Israele e Hamas rischia di avere conseguenze sui Paesi della regione, e in particolare sull’Egitto, attraverso una ulteriore perdita delle entrate derivanti dal turismo e per il tramite di un aumento dei costi energetici. A tal proposito, l’analista geopolitica La Fortezza ha affermato: “L’ipotesi paventata di un aumento del credito all’Egitto da parte dell’Fmi appare in forte contraddizione con la linea seguita prima della crisi di Gaza dalla stessa istituzione finanziaria: a marzo l’Fmi, alla sua prima revisione del programma, aveva infatti sospeso l’erogazione della seconda tranche del prestito, proprio in ragione della scelta della Banca centrale egiziana di mantenere un tasso di cambio pressoché fisso, oltre che in ragione di una generale scarsa implementazione delle riforme pattuite”. Nell’intervista a “Nova”, l’esperta di questioni geopolitiche nel Medio Oriente ha chiarito che “le nuove posizioni dell’Fmi e la possibilità che aumenti la linea di credito all’Egitto si spiegano con l’esigenza di assicurare maggiore stabilità a un Paese che è considerato troppo importante nelle dinamiche regionali per poter essere lasciato fallire. Questa visione è stata indubbiamente rafforzata dal ruolo che Il Cairo sta avendo nelle vicende legate alla Striscia di Gaza, soprattutto per il passaggio degli aiuti umanitari e per i corridoi umanitari”. “Proprio questa ritrovata centralità del ruolo politico dell’Egitto darà, probabilmente, maggiore sostegno alle posizioni del Paese in sede di ulteriori negoziati con l’Fmi, favorendo una maggiore propensione della comunità internazionale a intervenire a favore delle finanze egiziane, anche allargando i termini dell’accordo del 2022, proprio per evitare qualsiasi importante ulteriore scompenso alle finanze del Paese”, ha aggiunto La Fortezza. A sostegno dell’Egitto non si è mosso soltanto l’Fmi, ma anche l’Unione Europea. “La recente visita di visita del presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al Cairo, si inserisce in un quadro in cui la stessa Ue intende sostenere lo sviluppo economico dell’Egitto, mitigando l’impatto dell’attuale crisi Israele-Hamas”, ha affermato La Fortezza. Secondo diverse fonti – ha proseguito l’esperta, “l’Ue dovrebbe proporre un piano di investimenti con l’immissione di 9 miliardi di euro nel paese a favore di settori come le iniziative digitali, l’energia, l’agricoltura e i trasporti”. Infine, “alla luce dell’instabilità regionale derivante dal conflitto Israele-Hamas in corso, anche gli Stati del Golfo starebbero valutando di rafforzare le proprie politiche di sostegno all’economia egiziana. Se negli ultimi anni gli attori del Golfo sono stati meno generosi nei confronti de Il Cairo, la crisi di Gaza potrebbe spingere anche le Monarchie del Golfo a riprendere un più vigoroso programma di aiuti soprattutto per il tramite di nuovi depositi in contanti presso la Banca centrale egiziana e ulteriori operazioni a sostegno della valuta egiziana in caso di future svalutazioni”, ha concluso La Fortezza. Sul piano economico si vedono già i frutti della politica di privatizzazione annunciato dal governo a dicembre 2022. Il Fondo sovrano egiziano ha firmato il 20 dicembre un accordo da 800 milioni di dollari per vendere delle quote in sette hotel di lusso alla holding Tmg di Hisham Talaat Moustafa, nel tentativo di raccogliere fondi e valuta estera, preziosa per onorare gli impegni internazionali. Da quando l’esecutivo del Cairo ha avviato la privatizzazione, il Tesoro ha ricavato 5,6 miliardi di dollari dalla vendita di partecipazioni statali. La vendita di asset statali consente di allentare anche la pressione sulla sterlina egiziana, la valuta locale, attrarre investimenti e nel lungo periodo avviare le riforme economiche richieste dal Fondo monetario internazionale. Nello specifico, Tmg ha acquisito il 39 per cento delle quote in sette hotel storici di proprietà statale al Cairo, Alessandria e Assuan: Sofitel Legend Old Cataract Aswan, Movenpick Resort Aswan, Sofitel Winter Palace Luxor, Steigenberger Tahrir Hotel, Steigenberger Cecil Hotel Alexandria, Marriott Mena House Cairo Hotel e Marriott Omar Khayyam Zamalek. Secondo l’accordo, Tmg potrà acquisire quote fino al 51 per cento. Il governo, insieme alla International Finance Corporation, ha condotto studi preliminari sulla dismissione di 50 società, dando priorità a settori specifici come aeroporti e telecomunicazioni. L’Egitto soffre di una scarsità di valuta estera causata dallo scoppio del conflitto in Ucraina nel febbraio del 2022 e dall’aumento dei tassi di interesse statunitensi, che ha aumentato la pressione sull’economia ed esacerbato l’inflazione (36,4 per cento a novembre 2023), in un momento in cui il valore della lira egiziana è scesa rispetto al dollaro di oltre il 96 per cento negli ultimi 21 mesi. Infine, è destinato a pesare sulle casse dello Stato anche l’annuncio delle principali compagnie di navigazione commerciale internazionali di non usare il Canale di Suez per i collegamenti tra il Mediterraneo e il sud-est asiatico, a causa dei ripetuti attacchi dei miliziani sciiti yemeniti Houthi nel Mar Rosso. Basti pensare che nell’anno fiscale luglio 2022-giugno 2023 il transito attraverso Suez ha fruttato all’Autorità di gestione 9,4 miliardi di dollari.
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