Gli elettori di Taiwan saranno chiamati alle urne per una delle elezioni più importanti del 2024

Dic 26, 2023 - 05:39
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Gli elettori di Taiwan saranno chiamati alle urne per una delle elezioni più importanti del 2024

Fra meno di tre settimane gli elettori di Taiwan saranno chiamati alle urne per una delle elezioni più importanti del 2024, decisive per i futuri equilibri nello Stretto e per le relazioni tra le due principali potenze economiche mondiali: Cina e Stati Uniti. A depositare le candidature per le elezioni presidenziali del 13 gennaio sono state tre forze politiche: il Partito progressista democratico (Dpp), al governo dell’isola dal 2016; la principale forza all’opposizione, il Kuomintang (Kmt); il Partito popolare (Tpp), che punta a presentarsi come una valida alternativa al programma politico di progressisti e nazionalisti. Sono tre partiti con altrettante visioni dei rapporti con il Partito comunista cinese, che negli anni non ha mai smesso di considerare Taiwan una “provincia ribelle” da riunificare alla madrepatria anche con la forza, se necessario. Il voto del mese prossimo è stato presentato come una scelta tra “guerra e pace” con la Cina dagli esponenti del Kuomintang, secondo cui l’eventuale presidenza dei democratici aumenterebbe esponenzialmente il rischio di conflitto nello Stretto. Il Dpp, invece, teme che un’eventuale vittoria dell’opposizione possa comportare un maggior allineamento alle politiche di Pechino, e ritiene che le elezioni siano quindi una scelta tra “autoritarismo e democrazia”. Sono posizioni ritenute fin troppo “ideologiche” dal Tpp, che non esclude il dialogo con il Partito comunista per tutelare l’autonomia di fatto dell’isola senza mai aderire esplicitamente al “Consenso del 1992”, una formula diplomatica in base alla quale i funzionari delle due sponde dello Stretto riconoscono tacitamente l’esistenza di una “Cina unica” senza però definirne chiaramente il significato. Il candidato presidenziale scelto dal Dpp per le prossime elezioni è il 64enne Lai Ching-te (noto anche come William Lai), attuale vicepresidente di Taiwan. Nato nel piccolo villaggio minerario di Wanli, nell’estremo nord dell’isola, Lai trascorre la sua infanzia in povertà, orfano di padre e con cinque fratelli. Dopo aver conseguito un master in Sanità pubblica alla Harvard School of Public Health di Boston, negli Stati Uniti, viene eletto in parlamento nel 1996. Nel 1998 viene rieletto come deputato del Dpp, per poi ricoprire l’incarico di sindaco di Tainan dal 2010 al 2017. In quell’anno diventa primo ministro con un mandato di due anni, prima di assurgere alla vicepresidenza di Taiwan nell’amministrazione della presidente uscente Tsai Ing-wen. Lai è profondamente inviso alla Cina, da cui è considerato “un pericoloso elemento separatista” a causa dell’esplicito sostegno offerto in passato alla causa indipendentista. Negli anni ha moderato la sua retorica, affermando che una sua amministrazione non procederebbe a una formale dichiarazione d’indipendenza. Una simile iniziativa lascerebbe infatti margine a una guerra ai sensi della Legge anti-secessione approvata dall’Assemblea nazionale del popolo (Anp), la massima istituzione legislativa della Cina, nel 2005. Il candidato del Dpp ha infatti evidenziato a più riprese la necessità di preservare la stabilità nello Stretto, pur senza scendere a compromessi sul rispetto della democrazia, dell’autonomia, dell’autodeterminazione e della sovranità dell’isola. Taiwan è infatti considerata da Lai “già una nazione sovrana e indipendente”. “Auspichiamo l’amicizia con la Cina, di cui non vogliamo essere nemici”, ha dichiarato a tal proposito in un’intervista pubblicata dalla rivista statunitense “Time” lo scorso 20 novembre. L’irritazione della Cina nei confronti del Dpp si è intensificata ulteriormente dopo la presentazione della candidata scelta per la vicepresidenza, l’ex inviata di Taiwan negli Stati Uniti, Hsiao Bi-khim. Nata a Kobe, in Giappone, la 52enne Hsiao è stata parlamentare dal 2012 al 2020, per poi rappresentare Taipei a Washington fino allo scorso 30 novembre. Definita “carismatica e degna di fiducia” dagli osservatori della politica estera, la diplomatica si è fatta notare soprattutto per “l’ottima rete di contatti” creata a Washington e per la determinazione a espandere il riconoscimento dell’isola nel panorama internazionale. Queste caratteristiche non hanno fatto altro che alimentare la diffidenza della diplomazia di Pechino, che solo il mese scorso ha definito Hsiao “insincera” ed equiparato il ticket elettorale con Lai a “un duo separatista”. Diversa è la posizione del candidato del Kuomintang (Kmt) Hou Yu-ih, attuale sindaco di Nuova Taipei con un passato nella polizia. Nato nel 1957 a Puzi, nella contea sud-occidentale di Chiayi, il 66enne Hou ha iniziato la carriera nelle forze dell’ordine del 1980, dopo aver completato la formazione presso l’Accademia nazionale di polizia di Taoyuan. Negli anni Novanta è divenuto noto per il contributo alla risoluzione di una serie di casi d’alto profilo, che lo hanno portato a scalare rapidamente i vertici dell’Agenzia nazionale di polizia. Dopo averne assunto la direzione dal 2006 al 2008, è stato nominato presidente dell’Accademia nazionale mantenendo l’incarico fino al 2018, anno in cui è stato nominato primo cittadino di Nuova Taipei con 1,16 milioni di voti, il massimo mai ottenuto da un candidato del Kmt nelle amministrative della municipalità. Durante i consigli comunali tenuti lo scorso maggio con i colleghi di partito, Hou ha lasciato trapelare la sua contrarietà alla formula “un Paese, due sistemi” proposta dalla Cina per perseguire l’unificazione con Taiwan, respingendo anche l’agenda a sostegno dell’indipendenza, ritenuta “priva di basi legali”. Il programma del candidato nazionalista prevede infatti consultazioni regolari tra le due sponde dello Stretto al fine di allentare le tensioni. Hou si è comunque detto a favore del mantenimento dell’indipendenza “de facto” dell’isola e della sua denominazione ufficiale, Repubblica di Cina, al fine di evitare allusioni a un riconoscimento formale della statualità dell’isola. Solo “un credo, per tutta la vita”, quello di Hou, ovvero “prendersi cura di Taiwan” e dei territori sotto la sua giurisdizione (le isole di Penghu, Kinmen e Matsu) in un periodo in cui “le generazioni sembrano nutrire sfiducia nel futuro” e in cui solo “il ritorno al potere del Kuomintang può salvare Taiwan”. Questa posizione è stata ribadita anche nel dibattito televisivo tenuto da Hou con gli altri candidati presidenziali il 20 dicembre, in cui ha paventato il rischio di una guerra nella Stretto nell’eventualità della vittoria del Dpp. Hou si presenta alle prossime elezioni con Jaw Shau-kong, parlamentare dal 1987 al 1991 e dal 1993 al 1994. L’ultimo ticket elettorale è quello composto da Ko Wen-je e Wu Hsin-ying, candidati rispettivamente alla presidenza e alla vicepresidenza dal Partito popolare. Il 64enne Ko, ex chirurgo ed ex sindaco di Taipei dal 2014 al 2022, ha fondato pochi anni fa il Tpp nel tentativo di aprire una strada alternativa alla tradizionale polarizzazione tra il Partito progressista democratico e il Kuomintang, da cui punta a differenziarsi con un approccio più “pragmatico”. In occasione di un evento organizzato lo scorso 4 settembre dalla Camera di commercio europea a Taiwan, Ko ha indicato nella “comunicazione” la strategia vincente per rilanciare le relazioni intra-Stretto, pur anticipando un aumento della spesa nell’industria della difesa in caso di vittoria elettorale. Mentre il Partito progressista democratico si è presentato coeso alle votazioni di gennaio, il Kmt e il Tpp non sono riusciti a concretizzare un’intesa che avrebbe dovuto portare a una candidatura unica contro il vicepresidente uscente Lai: i dissidi in merito ai sondaggi su cui basare la scelta dei candidati comuni hanno fatto naufragare sul nascere l’accordo tra le due formazioni politiche, che si sono affrettate a formalizzare candidature separate il 24 novembre attribuendosi a vicenda la responsabilità del mancato accordo. A presentarsi come candidato indipendente alle elezioni di gennaio era stato anche il fondatore del colosso dell’elettronica taiwanese Foxconn, il miliardario Terry Gou, per poi annunciare successivamente il ritiro della candidatura. Gou, che inseguiva il sogno della presidenza di Taiwan da anni, aveva già intrapreso un tentativo nel 2019. Il suo progetto politico poggiava sulla promessa di colloqui di pace con Pechino e sulla promozione del suo profilo come possibile mediatore tra Stati Uniti e Cina, data la sua conoscenza personale con il presidente cinese Xi Jinping. Nelle settimane precedenti alla scadenza per depositare le candidature, però, quella di Gou è parsa scricchiolare sia a causa di accertamenti giudiziari a carico della sua campagna elettorale, sospettata di aver raccolto firme in cambio di denaro, sia per l’indagine cui Foxconn è stata recentemente sottoposta in Cina, seguita a sue dichiarazioni pubbliche secondo cui da presidente non si sarebbe piegato a minacce da parte di Pechino. Alla data del 20 dicembre, i sondaggi pubblicati dal sito di notizie “My Formosa” fotografavano un serrato testa a testa tra Lai e Hou, che godevano rispettivamente del 34,3 e del 30 per cento delle preferenze, seguiti da Ko con il 21 per cento. L’appoggio ai candidati dei partiti alla maggioranza e all’opposizione risulta in leggero calo rispetto ai precedenti sondaggi, mentre il sostegno a Ko sembra essersi stabilizzato dal primo settembre. L’ordine con cui i candidati parteciperanno al ballottaggio è stato comunicato dalla Commissione elettorale lo scorso 15 dicembre: i candidati alla presidenza e alla vice presidenza schierati dal Partito popolare, Ko Wen-je e Wu Hsin-ying, si sono assicurati la prima posizione. Lai Ching-te e la sua vice Hsiao Bi-khim occuperanno la seconda posizione, mentre i candidati del Kuomintang, Hou Yu-ih e Jaw Shau-kong, la terza. Saranno circa 19,5 milioni gli elettori – inclusi 1,03 milioni che si recheranno alle urne per la prima volta – a depositare il voto nei 17.794 seggi che saranno aperti in tutta l’isola, anche se l’esatto numero degli aventi diritto sarà reso noto solo il 9 gennaio. Nonostante guidi i sondaggi per la presidenza, il Dpp è dato per sfavorito alle elezioni legislative, che verranno disputate in concomitanza con le presidenziali. La maggioranza dei 113 seggi che compongono lo Yuan legislativo, il parlamento unicamerale, potrebbe essere infatti consegnata al Kuomintang, con possibili ripercussioni sulla difesa e altri dossier. Il capolista del principale partito d’opposizione è l’ex sindaco di Kaohsiung Han Kuo-yu, candidato nel 2020 dal Kmt alle presidenziali contro Tsai Ing-wen e considerato tuttora un uomo di “grande carisma” tra l’elettorato della forza politica. L’uomo scelto dal Dpp è invece il vicesegretario di partito Yang Yi-shan, che competerà contro la capolista del Tpp Huang Shan-shan e con quello del partito del Nuovo potere (Npp) Sung Kuo-ting. Nei sondaggi relativi alle legislative pubblicati da “My Formosa” il 4 dicembre, il Kmt risultava in testa con il 32,1 per cento dei consensi, seguito dal Dpp con il 29,5 per cento e dal Tpp con il 7,5 per cento. Nel complesso, i preparativi per le elezioni sono seguiti con grande attenzione dalla Cina, ripetutamente accusata dalla magistratura taiwanese di voler influenzare i leader locali affinché votino candidati allineati alle politiche del Partito comunista. Dal canto suo, quest’ultimo considera le elezioni “un affare interno alla Cina” e si è affrettato a mettere in guardia gli Stati Uniti da qualsivoglia “interferenza” nel processo elettorale. A quanto riportato dal “Wall Street Journal” lo scorso giugno, la questione sarebbe stata affrontata personalmente anche dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi con il segretario di Stato Usa Antony Blinken durante la visita condotta a Pechino in quel mese. Al titolare della diplomazia di Washington, più volte accusata di offrire sostegno ai “separatisti” dell’isola, sarebbe stato chiesto se gli Usa considerino il Dpp un “amico” e se abbiano “particolari interessi” nelle imminenti votazioni. Domande cui il segretario avrebbe risposto ribadendo “l’imparzialità” del governo federale sulla questione, più volte definita dal presidente cinese Xi Jinping una “linea rossa da non oltrepassare” nei rapporti bilaterali. In vista del voto, la tensione nello Stretto rimane comunque ai massimi: oltre alle sortite condotte a cadenza quotidiana con navi e aerei militari, l’11 novembre la Cina ha schierato nuovamente il gruppo d’attacco della portaerei Shandong, il cui ultimo transito nei pressi di Taiwan risale al 9 novembre scorso. Nel mese di dicembre, inoltre, il ministero della Difesa di Taipei ha segnalato il sorvolo di quattro palloni aerostatici cinesi nella zona a nord dell’isola, probabilmente per scopi meteorologici. Nel complesso, l’esito delle elezioni presidenziali è destinato a determinare l’intero scenario della sicurezza nel Mar Cinese Meridionale, principale teatro del confronto strategico tra le due maggiori potenze globali. La probabile vittoria di Lai consoliderebbe ulteriormente il rapporto tra gli Stati Uniti e Taiwan, comportando quasi certamente un innalzamento del livello dello scontro con Taipei. Le tensioni tra le due sponde dello Stretto, d’altra parte, hanno registrato un forte irrigidimento già durante l’amministrazione di Tsai Ing-wen, che non parteciperà alle prossime elezioni per sopraggiunti limiti di mandato. Eletta nel 2016, Tsai è stata la prima donna a ricoprire la presidenza nella storia dell’isola. Ferma avversaria del principio della “Cina unica”, negli anni ha progressivamente rafforzato l’asse con gli Stati Uniti, ricevendo a Taiwan l’ex presidente della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi lo scorso agosto e incontrando ad aprile in California il suo successore, Kevin McCarthy. Lo scenario più favorevole a Pechino sarebbe quindi l’affermazione del Kmt, con cui auspica una ripresa del dialogo, mentre appare incerto l’approccio verso il candidato del Tpp Ko Wen-je, a causa della vaghezza del suo programma elettorale.

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Giò Barbera Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore del portale areamediapress.com e di Radiocom.tv