In fatto di tasse che gravano sui turisti l’Italia è tra i Paesi in cima alle classifiche
In fatto di tasse che gravano sui turisti l’Italia è tra i Paesi in cima alle classifiche. Ma di certo, numerosi Stati e città stanno seguendo lo stesso esempio. E in Europa si fa strada una tendenza: ogni evento è buono per giustificare i rincari. Che le tasse siano un fardello pesante, sul turismo, lo scriveva già nel 2017 un report della Commissione europea, redatto insieme a Pwc. Secondo lo studio, i Paesi del Sud Europa fortemente esposti al turismo balneare, Italia compresa, avrebbero avuto benefici nell’alleviare il peso delle imposte. L’analisi si basava su tutte le voci in campo, dall’Iva sugli acquisti alle tasse sulle imprese. E in questo calderone le city tax sono una fetta minore, ma fastidiosa per il cliente. Ad ogni modo, era il mondo pre-Covid. E i fatti sono andati diversamente. Oggi in Italia almeno mille Comuni richiedono la tassa di soggiorno, con un gettito di 702 milioni di euro nel 2023, che saliranno a oltre 800 nel 2024. A Roma l’ultimo ritocco è avvenuto a ottobre. Ora, nella Capitale, in media ogni visitatore deve versare 5,50 euro (rispetto ai 3,70 euro del 2023) per ogni notte. Ma nel 2025, anno del Giubileo, negli hotel a cinque stelle si potrà arrivare fino a 12 euro a persona. Anche a Firenze il Comune ha elevato il tetto massimo, relativo alle strutture di lusso, fino a 8 euro. Mentre a Venezia hanno fatto ancora di più. Nella Laguna è già presente la tassa di soggiorno (in genere compresa tra 2 e 5 euro), ma la municipalità ha anche istituito il “contributo di accesso”, una cifra fissa di 5 euro per chi visita la città in giornata. Tutti questi balzelli rischiano di scoraggiare i turisti stranieri? Certamente sì, secondo le associazioni di categoria.
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