La Cina denuncia attività di spionaggio da parte del Giappone, pronti a rafforzare l’intelligence
Il ministero per la Sicurezza dello Stato cinese ha reso noto d’aver risolto diversi casi d’infiltrazione e spionaggio attribuiti ai servizi segreti giapponesi negli ultimi anni, annunciando la volontà di rafforzare le operazioni d’intelligence nel quadro delle rinnovate tensioni tra Pechino e Tokyo. In un articolo pubblicato sui propri profili social, il dicastero ha detto che le operazioni svolte sinora “hanno protetto efficacemente i segreti fondamentali della nazione” e hanno promesso di “stroncare con determinazione ogni insidioso complotto diretto a dividere la nazione”. Il ministero non ha tuttavia offerto dettagli sui casi trattati. Lo scorso maggio, il governo riferiva di una condanna per spionaggio inflitta a un cittadino giapponese che – secondo i media di Tokyo – era stato arrestato a Shanghai nel 2021 e processato ad agosto 2023. Ad agosto 2024, invece, il ministero degli Esteri cinese ha invece confermato un processo per spionaggio a carico di un dipendente della società farmaceutica giapponese Astellas Pharma. L’articolo del ministero per la Sicurezza dello Stato è stato pubblicato nel quadro della forte crisi diplomatica attraversata da Cina e Giappone in merito alle dichiarazioni rilasciate dalla prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, su Taiwan.
In un editoriale pubblicato l’11 novembre, l’emittente statale “Cctv” ha invece accusato Takaichi d’aver rilasciato dichiarazioni “di natura e impatto estremamente ostili”, che hanno “superato il limite”. Sulle reti sociali, l’account Yuyuan Tantian, affiliato all’emittente, ha definito la premier del Giappone una “piantagrane”, domandandosi ironicamente se “le avesse dato un calcio in testa un asino”. “Se dovesse continuare a vomitare fesserie senza alcun limite come questa, Takaichi potrebbe doverne pagare il prezzo”, recitava il post di Yuyuan Tantian. Il ministero degli Esteri cinese ha inoltre convocato l’ambasciatore giapponese a Pechino, Kenji Kanasugi, per chiedere che la prima ministra Sanae Takaichi ritirasse le sue recenti affermazioni. Il governo di Pechino, da parte sua, ha invitato i cittadini a non recarsi in Giappone, denunciando il peggioramento delle condizioni “di sicurezza” e delle relazioni bilaterali. Iniziativa, questa, cui l’esecutivo giapponese ha risposto inoltrando alla Cina una protesta ufficiale. Le tensioni tra i due Paesi sono state affrontate anche dai funzionari dei ministeri degli Esteri di Giappone e Cina il 18 novembre, in un incontro tenuto a Pechino dal direttore generale per gli Affari asiatici del ministero degli Esteri giapponese, Masaaki Kanai, e dal direttore generale del dipartimento per gli Affari asiatici del ministero degli Esteri cinese, Liu Jinsong. Il rappresentante giapponese ha respinto la richiesta di Pechino a Takaichi di ritrattare le proprie dichiarazioni, definendo invece “estremamente inappropriato” il messaggio online – pubblicato e poi rimosso – del console cinese a Osaka Xue Jian, che auspicava la decapitazione della premier. Oggi, 19 novembre, un alto funzionario del ministero dell’Agricoltura, Silvicoltura e Pesca giapponese ha dichiarato che il governo della Cina ha informato Tokyo della sospensione delle importazioni di prodotti ittici giapponesi. Le esportazioni giapponesi verso la Cina erano riprese all’inizio del mese dopo la parziale revoca del precedente divieto cinese, che era stato adottato in risposta al disastro nucleare di Fukushima.
Le tensioni diplomatiche tra Cina e Giappone si sommano infine ad una disputa territoriale che vede contrapposti i due Paesi nel Mar Cinese Meridionale. Il 16 novembre, la Guardia costiera cinese ha effettuato un pattugliamento al largo delle Isole Senkaku, amministrate dal Giappone. Controllate dalla municipalità giapponese di Ishigaki e rivendicate dalla Cina con il nome di Diaoyu, le isole sono al centro di un contenzioso di lunga data tra i due Paesi. Rivendicate anche da Taiwan, le Senkaku comprendono otto isole e formazioni rocciose disabitate dal 1940. La contesa per la loro sovranità è diventata più accesa a partire dal 1968, quando un rapporto delle Nazioni Unite ha paventato l’esistenza di vasti giacimenti di risorse fossili sottomarine nella regione. Le rivendicazioni di Pechino si basano su presupposti di tipo storico: dal quindicesimo secolo le isole erano parte del Regno di Ryukyu, Stato vassallo della Cina secondo il sistema tributario, passando al dominio feudale giapponese solo nel 1870. Furono ufficialmente annesse al Giappone, assieme a Taiwan, nel 1895, a seguito della sconfitta cinese nella prima guerra sino-giapponese (1894-1895) e al conseguente Trattato di Shimonoseki. Alla fine della Seconda guerra mondiale, le Senkaku passarono sotto amministrazione statunitense, che le restituì al Giappone nel 1971. La crisi sino-giapponese per la sovranità dell’isola raggiunse un picco nel 2012, anno in cui Tokyo acquistò tre delle isole da un privato cittadino, innescando una serie di violente manifestazioni in Cina e la piccata reazione del presidente Xi Jinping, che definì l’acquisizione “una farsa”. Da allora, il ministero degli Esteri cinese ha lanciato ripetuti appelli al dialogo, invitando il Giappone a risolvere le controversie tramite “consultazioni amichevoli” prescindendo da scontri sul campo che coinvolgano anche altri Paesi, senza mai nominare direttamente gli Stati Uniti.
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