Le grandi città turche - Istanbul, Ankara, Smirne - erano e restano nelle mani dell'opposizione laica moderata del CHP
Le grandi città turche - Istanbul, Ankara, Smirne - erano e restano nelle mani dell'opposizione laica moderata del CHP, che in buona parte le aveva prese nel 2019. Ma Recep Tayyip Erdoğan aveva speso tutto il suo carisma per riconquistarle e invece viene sonoramente sconfitto. In più, il CHP diventa la prima forza politica. Il segnale del voto amministrativo di ieri in Turchia è una inequivocabile battuta d'arresto per il presidente, che in circa vent'anni al potere ha dominato e trasformato il Paese a suo piacimento, senza farsi scrupolo di reprimere il dissenso come e dove ha potuto. A Istanbul, la metropoli che conta da sola un quinto della popolazione turca, trionfa l'uomo che aspira a sfidare Erdoğan per la presidenza, nel voto del 2028 che improvvisamente appare più vicino: è Ekrem İmamoğlu, 54 anni, approccio mite e pragmatico - da tempo astro dell'opposizione, al punto che il presidente ha cercato di azzopparlo con inchieste giudiziarie da molti definite pretestuose, fondate su reati di opinione. A differenza di 5 anni fa, il CHP vince nella maggior parte dei distretti della metropoli sul Bosforo, riconquistando dopo 30 anni anche la centralissima Beyoğlu. Ancora peggio per il presidente vanno le cose ad Ankara, dove il sindaco uscente Mansur Yavaş non solo replica il successo del 2019 ma si toglie lo sfizio di battere il rivale con un distacco attorno ai 26 punti. Non sorprende a Smirne la vittoria del CHP, che domina da decenni la terza città del Paese, così come accade in centri importanti come Adana e Mersin. Sorprende invece in città come Bursa, altro grande centro industriale considerato fin qui feudo dell'AKP di Erdoğan. Al presidente restano in mano i centri principali della costa del Mar Nero e buona parte dell'Anatolia centrale. Ma anche qui si segnalano province che cambiano di segno, l'avanzata di partiti ultranazionalisti e religiosi. Più in generale, si colgono messaggi di inquietudine e distacco delle fasce sociali finora compatte nel sostegno a Erdoğan: il presidente ha sempre fatto leva sull'elettorato tradizionalista, sui ceti più poveri a lungo tenuti ai margini della vita politica come di quella economica, che ora sembrano diffidare. Nel Sudest a maggioranza curda vince quasi dappertutto il partito DEM, sigla che raccoglie l'eredità del partito a base etnica HDP - i cui dirigenti sono stati in gran parte da tempo arrestati con accuse non sempre convincenti di contiguità con il movimento separatista armato del PKK. Ma anche qui l'impressione è che la geografia dell'elettorato stia cambiando, che i vecchi equilibri non siano più riconoscibili. Erdoğan ha cambiato la Turchia, ora è la Turchia che cambia - e gli fa traballare il terreno sotto i piedi. “Un risultato storico”, esulta il leader del CHP Özgür Özel: "Oggi gli elettori hanno deciso di cambiare il volto della Turchia e aprire le porte a un nuovo clima politico". Ma è proprio il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu a far capire che questo voto, se cambia poco nell'assetto amministrativo nelle città, è un segnale politico che non si può ignorare. Quando si rivolge a una folla entusiasta di sostenitori venuti a festeggiarlo a spoglio ancora in corso, la frase più significativa guarda avanti, alle sfide di domani: “Si sono aperte le porte del futuro”, scandisce. Anche Erdoğan parla ai suoi elettori quando i risultati non sono ancora definitivi, anche lui capisce che qualcosa sta cambiando. E si attrezza per fronteggiare il pericolo. Ammette pubblicamente la sconfitta e annuncia l'autocritica: "Oggi hanno vinto 85 milioni di turchi, il risultato deve essere un punto di svolta per il nostro partito". E ancora: “Non abbiamo ottenuto il risultato che ci aspettavamo, è il momento di fare analisi e agire con coraggio. Negli ultimi 22 anni ci sono state 18 elezioni e abbiamo quasi sempre vinto - questa volta non è andata così, ma in futuro tutto può succedere”.
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