Turchia: il disarmo del Pkk può aprire una nuova fase per Erdogan e il Paese

Il cessate il fuoco annunciato dal Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) dopo lo storico appello del fondatore Abdullah Ocalan per il suo disarmo e scioglimento rappresenta un punto di svolta per porre fine alle violenze in Turchia dopo oltre 40 anni di conflitto, ma non solo. La potenziale cessazione delle ostilità tra il gruppo curdo e Ankara – che lo ha designato “organizzazione terroristica”, come l’Unione europea e gli Stati Uniti – potrebbe tracciare la strada anche per un ulteriore consolidamento del potere del presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, e per un possibile referendum volto al superamento della datata Costituzione turca. Molto dipenderà dalla possibile scarcerazione di Ocalan, detenuto dal 1999 dopo essere stato condannato all’ergastolo, e dalle decisioni che il Pkk prenderà durante il congresso che sarà convocato prossimamente per discutere il proprio futuro politico. Se è vero infatti che l’invito di Ocalan al disarmo è stato accolto immediatamente, non è ancora chiara la decisione che il gruppo curdo prenderà in merito allo scioglimento. “Agenzia Nova” ne ha parlato con la direttrice scientifica dell’Osservatorio Turchia del Centro studi di politica internazionale (Cespi), Valeria Giannotta, e con il giornalista curdo Adib Fateh Ali. Giovedì 27 febbraio, Ocalan ha dichiarato fine alla lotta armata del Pkk, assumendone la “responsabilità storica”. Secondo il fondatore del gruppo, oggi “non ci sono più ragioni” per proseguire il conflitto. Il Partito dei lavoratori del Kurdistan, ha osservato Ocalan in un discorso letto nell’isola-carcere di Imrali, in Turchia, da una delegazione del partito filo-curdo Dem (terza forza del Parlamento), “è nato nel 20mo secolo, nell’epoca più violenta della storia dell’umanità, tra le due guerre mondiali, all’ombra dell’esperienza del socialismo reale e della guerra fredda”, in un mondo in cui “la negazione della realtà curda, le restrizioni ai diritti e alle libertà fondamentali hanno giocato un ruolo significativo”. Ma oggi, alla luce dei progressi sociali e dei cambiamenti politici, secondo Ocalan il Pkk “ha raggiunto la fine del suo ciclo di vita”. A partire dagli anni Ottanta il gruppo curdo – basato nel sud-est della Turchia – ha fatto della lotta armata uno strumento pratico di avanzamento della sua teorizzazione politica volta all’autodeterminazione. Secondo le cifre ufficiali delle autorità turche, la guerra tra il Pkk e lo Stato avrebbe causato almeno 40 mila morti dal 1984 al 2015 (anno in cui il movimento curdo ha trasferito le sue basi nel Kurdistan iracheno). Venerdì 28 febbraio, durante un evento organizzato per il 30mo anniversario dell’emittente televisiva “Kanal 7”, Erdogan ha accolto con favore l’appello di Ocalan, osservando che “la fine del terrorismo” porterà benefici agli 85 milioni di abitanti del Paese. “Entriamo in una nuova fase”, ha detto il presidente turco, avvertendo che non sarà tollerato alcun tentativo di ostacolare questo processo. Secondo Erdogan, “senza il terrorismo” del Pkk “si amplierà lo spazio per l’impegno politico democratico, favorendo un ambiente politico più aperto e inclusivo in Turchia”. Giannotta ricorda come la strada per un processo di pace tra il Pkk e lo Stato turco era già stata tracciata nel 2013 con un appello di Ocalan, “che è stato l’esito di negoziazioni dell’epoca portate avanti direttamente con Erdogan (al tempo ancora primo ministro)”. La pace durò tuttavia solo circa due anni, arenandosi nel giugno 2015 a seguito di un attentato terroristico suicida a Suruk. Oggi il tentativo di riconciliazione è tornato in primo piano con un “elemento di novità”.
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