Choc Germania: Volkswagen vuole chiudere tre fabbriche
In 87 anni di storia, sarebbe la prima volta. Lunedì 28 ottobre la Volkswagen, il colosso tedesco dell’auto e primo produttore in Europa, ha ipotizzato la chiusura di tre fabbriche in Germania, con il conseguente taglio di migliaia di posti di lavoro e degli stipendi, come risposta alla crisi che sta attraversando. Veemente la protesta di sindacati e lavoratori, che hanno annunciato una forte mobilitazione in tutto il Paese. Volkswagen impiega in Germania oltre 120 mila persone, di cui circa la metà opera a Wolfsburg. Il marchio gestisce dieci stabilimenti: sei in Bassa Sassonia, tre in Sassonia e uno in Assia. A settembre la casa automobilistica tedesca ha annunciato la cancellazione del programma di sicurezza del lavoro in vigore da oltre 30 anni. I licenziamenti saranno possibili a partire dalla metà del 2025. A dare la notizia è stata la presidente del Consiglio di fabbrica globale della Volkswagen Daniela Cavallo, dopo due giorni di incontri con il management aziendale. “Il consiglio di amministrazione vuole chiudere almeno tre stabilimenti in Germania”, ha detto durante un evento informativo per la forza lavoro a Wolfsburg: “Con questi piani, decine di migliaia di posti di lavoro sono a rischio”. L’obiettivo del gruppo sarebbe quello di risparmiare complessivamente quattro miliardi di euro. Oltre alle tre chiusure, ha aggiunto Cavallo, la società intenderebbe anche “ridurre la capacità dei sette impianti rimanenti e dismettere o trasferire all’estero alcuni reparti produttivi”. L’azienda, infine, sarebbe intenzionata a tagliare l’ammontare salariale aziendale del 10 per cento in generale e a non concedere alcun aumento nel 2025 e nel 2026. “La situazione è seria, al momento non guadagniamo abbastanza con le nostre auto”, ha spiegato l’amministratore delegato Thomas Schäfer, pur non entrando nel dettaglio delle misure ipotizzate: “Nel contempo i nostri costi per energia, materiali e personale hanno continuato ad aumentare. Senza misure complete per riacquistare competitività, non saremo in grado di permetterci investimenti futuri essenziali”.
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