La presenza militare russa si allarga nell’area del Sahel
Dopo Libia, Mali e Repubblica Centrafricana, la presenza militare russa in Africa si espande ulteriormente nell’area del Sahel. Dopo la notizia, circolata negli ultimi giorni su media filo-russi, dell’arrivo in Burkina Faso di centinaia di unità degli Africa Corps, costola dell’ex gruppo paramilitare Wagner rimasto orfano a giugno del suo fondatore, Evgenij Prigozhin, una conferma ufficiale è giunta ora anche da parte del capo della giunta militare e presidente di transizione del Burkina Faso, Ibrahim Traoré, che per la prima volta ammesso non solo la presenza dei mercenari russi, ma anche la possibilità che essi “si schierino al nostro fianco contro i jihadisti, se necessario”. Un’ammissione accompagnata dalla fiera dichiarazione di libera scelta dei partner internazionali con i quali consolidare rapporti di difesa: Mosca “offre addestramento logistico e tattico ed “è disposta a vendere qualunque arma” su richiesta del Burkina Faso, ha detto Traoré in un’intervista rilanciata da “Bloomberg”, ribadendo che “non ci sono limiti su ciò che può essere acquistato da Russia, Cina, Turchia o Iran”. Per il militare salito al potere con il golpe del 2022 il tema è l’occasione di ribadire ulteriormente l’autonomia del Paese saheliano da vecchi partner coloniali, Francia in testa, e per evidenziare la determinazione della sua giunta a difendere il territorio dai gruppi armati attivi nel Paese. Secondo le informazioni diffuse in precedenza da diversi organi di stampa vicini al Cremlino, un centinaio di uomini degli Africa Corps – questo il nome assunto dagli ex Wagner dopo la morte di Prigozhin – è arrivato a Ouagadougou per integrare un contingente che nella sua forma finale consterà di almeno 300 militari. La scorsa settimana la rete Africa Initiative ha diffuso su Telegram le immagini di decine di uomini arrivati a Ouagadougou a bordo di un aereo da trasporto modello Ilouchine IL-76, chiamati dalla giunta militare al potere a proteggere il leader della transizione Traoré e ad assicurare i generali compiti di sicurezza. Lo stanziamento russo ha messo in allerta anche Washington, che tramite un portavoce ha confermato ad “Agenzia Nova” che “questi gruppi rappresentano una minaccia alla stabilità e alla prosperità delle nazioni africane in cui sono presenti”. A fronte di questo scenario in rapida evoluzione, ha aggiunto il portavoce, “gli Stati Uniti continuano a monitorare con attenzione le loro attività, e faranno il possibile per punire i loro abusi e le loro azioni destabilizzanti”. Il Burkina Faso, così come il vicino Mali e, più di recente, il Niger, è uno dei Paesi del Sahel che sono stati negli ultimi anni teatro di una serie di colpi di Stato che li hanno progressivamente spinti verso l’orbita russa ed allontanati dalla Francia e dagli organismi regionali più legati a Parigi, su tutti la Comunità economica dei Paesi membri dell’Africa occidentale (Cedeao). L’allontanamento è stato ufficialmente sancito lo scorso 28 gennaio, quando le giunte militari al potere Mali, Niger e Burkina Faso hanno diffuso un comunicato congiunto in cui hanno annunciato il loro ritiro, con effetto immediato, dall’organizzazione regionale. Un annuncio che è stato respinto dalla stessa Cedeao, che ha fatto sapere di non aver ricevuto notifiche formali da parte delle tre giunte golpiste. L’allontanamento dei tre Paesi del Sahel dalla Cedeao, del resto, era iniziato nei fatti lo scorso 16 settembre, quando le stesse giunte militari di Mali, Niger e Burkina Faso si sono riunite nell’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), iniziativa militare ma anche diplomatica che intende garantire indipendenza ai tre Paesi rispetto ad organismi regionali o internazionali. Sull’allontanamento dalla Cedeao, Traoré ha insistito sul carattere definitivo e non negoziabile della decisione. Non si è trattato di “un colpo di testa” ma di una decisione “molto ben ponderata”, ha dichiarato Traoré ai media regionali, definendo la strada intrapresa “senza ritorno”. “Se fosse stato un semplice sfogo, lo avremmo fatto molto tempo fa. Ci siamo presi il tempo per analizzare la situazione, valutare i nostri punti di forza e infine decidere, Le catene che stiamo spezzando (uscendo dalla Cedeao) lo sono per sempre”, ha ribadito con un vocabolario che evoca lo schiavismo. Nei giorni scorsi molteplici autorità regionali hanno invitato Mali, Niger e Burkina Faso a riconsiderare la loro decisione. Il presidente della Commissione dell’Ua, Moussa Faki Mahamat, ha invitato i leader regionali a intensificare il dialogo tra la Cedeao e i militari, chiedendo “di unire tutti gli sforzi” in uno spirito di “unità” e “solidarietà”, e dicendosi pronto “a fornire tutta la disponibilità in suo potere per garantire il successo della logica del dialogo fraterno lontano da qualsiasi ingerenza esterna, da qualsiasi parte”. Un interesse legato senza dubbio al timore di destabilizzazione regionale legato all’eventuale ritiro dei tre Paesi, che insieme rappresentano geograficamente più della metà della superficie coperta dalla Cedeao e il 15 per cento della sua popolazione.
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