Tunisia-Italia: cooperazione archeologica riscopre la pittura parietale romana in Nord Africa
La cooperazione archeologica tra Italia e Tunisia riporta alla luce la pittura parietale romana in Nord Africa, e in particolare a Cartagine e nelle zone circostanti, un capitolo affascinante ma spesso messo in ombra dalla fama dei più celebri mosaici tunisini. Lo rivela Hejer Krimi, direttrice dei Musei presso il ministero degli Affari culturali della Tunisia, che parlando in esclusiva ad “Agenzia Nova” esprime grande apprezzamento per il progetto di cooperazione portato avanti dall’Istituto nazionale del patrimonio (Inp) tunisino in collaborazione con l’Università di Bologna. Osservando il lavoro degli archeologi, tra gli occhi curiosi dei visitatori del Museo nazionale del Bardo, Krimi dichiara a “Nova” che il progetto si distingue perché si concentra su “collezioni dimenticate”, conservate nei depositi museali e talvolta persino ignorate. “Prendersi carico di queste collezioni significa innanzitutto offrire una formazione specialistica, poiché il progetto riguarda le pitture murali e gli affreschi, che non rientrano nelle tradizioni più note dei romani nell’Africa del Nord, anche a causa delle condizioni climatiche dell’antichità”, spiega la direttrice dei Musei della Tunisia. Hejer Krimi ricorda che “finora le pitture murali dell’epoca romana erano conosciute soprattutto attraverso immagini provenienti dall’Italia e dal mondo occidentale”, sottolineando che “se questo progetto continuerà, potremo disporre di un campione significativo di pittura murale che è riuscito a sopravvivere al tempo e al clima”, aggiunge la dirigente del ministero degli Affari culturali tunisino, ringraziando gli esperti italiani ed in particolare la professoressa Antonella Coralini dell’Alma Mater “per aver accettato di formare specialisti tunisini, in un settore in cui il Paese non dispone ancora di competenze locali consolidate”. La Tunisia “è tradizionalmente associata al mosaico, che rappresenta l’equivalente della pittura nel nostro patrimonio antico. Tuttavia, oggi l’interesse per la pittura parietale costituisce un elemento nuovo e stimolante per intellettuali, ricercatori e giovani studenti”, evidenzia Krimi, osservando che queste opere, oggi conservate nelle casse, “potranno domani essere esposte al museo del Bardo e in altri musei della Tunisia”. Sebbene meno conservata rispetto a quella di Pompei, la decorazione pittorica nordafricana rivela un gusto raffinato che mescola i canoni imperiali con peculiarità locali. Come conferma ad “Agenzia Nova”, la professoressa Coralini, una delle massime esperte di pittura parietale romana al mondo, reduce della sua terza missione nel Paese, appena conclusasi al Museo del Bardo. “Tutti o quasi tutti gli edifici della Tunisia romana avevano pareti e soffitti rivestiti da intonaci dipinti con vivaci colori, come succedeva in tutte le città dell’Impero”, rivela la corresponsabile scientifica del progetto insieme a Nesrine Nasr dell’Istituto nazionale del patrimonio (Inp) tunisino. “Accanto agli straordinari mosaici, la Tunisia possedeva decorazioni parietali altrettanto notevoli, oggi però molto rare a causa del tempo, degli agenti atmosferici e delle demolizioni”, aggiunge la docente. Dall’analisi delle pitture parietali emergono temi comuni con i mosaici, per quanto oggi è possibile osservare, “erano impiegati pigmenti come il blu egizio e il rosso cinabro. Quest’ultimo, tuttavia, con parsimonia, poiché aveva un costo molto elevato rispetto agli altri materiali utilizzati per la preparazione dei colori”, sottolinea l’esperta. Sulle pareti erano raffigurate divinità, paesaggi e soprattutto scene mitologiche, insieme a una grande varietà di motivi ornamentali, come arabeschi, fiori e figure umane di diverse dimensioni. Si trattava di superfici ricche di colore e di immagini, concepite come un vero e proprio pendant decorativo dei mosaici che, più solidi, sono giunti fino a noi in numero considerevole; “le pitture murali, che non erano certo da meno per qualità decorativa, hanno invece avuto un destino più sfortunato a causa della loro fragilità. Il nostro lavoro oggi è proprio quello di sottrarle all’oblio, almeno in parte, e restituirle alla conoscenza scientifica e al pubblico”, spiega Coralini. I frammenti “sopravvissuti” si conservano principalmente nei depositi dei musei tunisini, in particolare del Museo nazionale del Bardo e del museo di Cartagine. “Si tratta di un vero e proprio scavo negli archivi e nei depositi –continua la professoressa dell’Università di Bologna– centinaia di casse e frammenti attendono da decenni, a volte più di un secolo, di essere finalmente documentati, studiati e analizzati, per ricostruire le decorazioni antiche e permetterne l’esposizione nei musei con lo spazio adeguato”. L’equipe, composta da archeologi, storici dell’arte e restauratori, ha condotto sei settimane di attività intense, lavorando inizialmente nel museo di Cartagine e nelle ultime due settimane nel museo del Bardo. Con pazienza e precisione, i ricercatori ripuliscono i frammenti dalla polvere della storia, li riconoscono per gruppi omogenei, li fotografano singolarmente e in gruppo, per poi procedere a un vero e proprio “puzzle” delle decorazioni. Il progetto, giunto alla terza missione, si affianca agli oltre quattordici già attivi nel campo della cooperazione archeologica tuniso-italiana, ma con una sua specificità: invece di concentrarsi sul campo, si lavora all’interno dei musei, anche sotto gli occhi del pubblico. “In questo scavo nei depositi e nelle sale museali ci si imbatte anche in affascinanti storie di restauro moderno – evidenzia Coralini a “Nova” – un esempio è il soffitto dal cubicolo della stanza da letto di una lussuosa abitazione della città di Tina, oggi conservato nella sala di Oudna al Bardo. Osservandolo, si nota come la parte originale sia molto ridotta rispetto alla superficie totale, ma il restauro è stato eseguito con grande maestria. Speriamo, al termine del progetto, di poter offrire al museo nuove ricostruzioni da affiancare al Dioniso di Tina”. Una cooperazione tra Italia e Tunisia, con oltre 15 missione attive in diverse regioni del Paese, che la direttrice dei Musei presso il ministero degli Affari culturali tunisino, Hejer Krimi, definisce senza mezzi termini “grandiosa” e i cui risultati verranno presto presentati al pubblico italiano in un volume dedicato dell’enciclopedia “Treccani”. Fortemente voluto dall’ambasciata d’Italia a Tunisi, il volume sarà presto realtà, grazie alla casa editrice Treccani e al sapiente coordinamento della presidente e del presidente onorario della Scuola archeologica italiana di Cartagine, Anna Depalmas e Sergio Ferdinandi. Il volume “che stiamo curando si concentra sulle missioni archeologiche italo-tunisine attualmente attive”, dichiara ad “Agenzia Nova”, la presidente Depalmas, precisando che non esistono “missioni italiane” autonome: “ogni progetto nasce infatti da una collaborazione e da una sinergia tra archeologi tunisini, tutti funzionari dell’Inp, e colleghi italiani”. Il volume documenta “queste ricerche, escludendo quelle missioni che non avevano ancora iniziato i progetti al momento della raccolta dei contributi, avvenuta questa estate, e offre quindi una panoramica della ricchezza delle ricerche archeologiche sostenute dall’Italia e, in particolare, dal ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (Maeci)”. Tra gli interventi presenti nel volume, rivela la direttrice della Scuola archeologica italiana di Cartagine a “Nova” vi sono anche i lavori sui mosaici della professoressa Coralini e Nasr, nonché le iniziative collegate a esposizioni temporanee, come quella “Magna mater da Zama a Roma” dopo la trasferta romana che ha anche consentito il restauro di 30 preziosi reperti in Italia. Un progetto espositivo internazionale che intreccia archeologia, mito e cooperazione culturale tra Italia e Tunisia. Al centro dell’esposizione che – dopo il Parco archeologico del Colosseo dovrebbe animare il Museo del Bardo – vi è la figura della Magna mater, la Grande madre, antica divinità dalle molteplici identità (Kubaba, Cibele, Kybele, Meter Theon), venerata per oltre un millennio in Anatolia, Grecia e Roma. La mostra ne ripercorre origini e trasformazioni, dal culto frigio all’adozione ufficiale a Roma nel 204 a.C., quando – secondo il responso dei Libri Sibillini – la sua immagine aniconica fu trasferita da Pessinunte al Palatino, divenendo simbolo di salvezza e rigenerazione per l’Urbe. Il volume della Treccani, come anticipa Anna Depalmas a “Nova”, documenta inoltre “progetti di ripristino in varie zone della Tunisia settentrionale, interventi legati al gemellaggio tra l’anfiteatro di El Jem in Tunsiia e il Colosseo romano, e attività di catalogazione dell’architettura archeologica”, promosse dai ministeri della Cultura di Italia e Tunisia. La Scuola archeologica italiana di Cartagine “ha il ruolo di editor del volume, coordinando i colleghi e fungendo da collegamento con la redazione della Treccani”, conclude Depalmas, evidenziando che l’opera, che “sarà pubblicata nella primavera 2026, vuole offrire non solo un quadro delle ricerche archeologiche italo-tunisine, ma anche una visione della Tunisia, con immagini di paesaggi e siti archeologici, quali simbolo di una cooperazione viva e molto attiva nel settore culturale. La prima edizione sarà in italiano, con la partecipazione dei coautori tunisini”.
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