Disarmo di Hamas, ritiro di Israele e nascita di uno Stato palestinese: tutti i punti del piano di Trump per Gaza
Restituzione di tutti gli ostaggi entro 48 ore, fine immediata delle operazioni israeliane e ritiro graduale delle Forze di difesa di Israele (Idf), smilitarizzazione della Striscia e concessione di un’amnistia ai membri del movimento islamista palestinese Hamas disposti ad accettare la pacifica convivenza. Ma soprattutto, incoraggiamento esplicito ai palestinesi a restare a Gaza – con la promessa di un massiccio piano di ricostruzione – e l’apertura di un percorso condizionato verso la nascita di uno Stato palestinese. Sono i pilastri del piano in 21 punti elaborato dagli Stati Uniti per chiudere il conflitto a Gaza, rivelato in esclusiva dal quotidiano israeliano “Times of Israel”. Il documento, redatto in gran parte dall’inviato speciale Steve Witkoff e condiviso dal presidente Donald Trump con un gruppo ristretto di Paesi arabi e musulmani a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, rappresenta una svolta rispetto alle precedenti posizioni della Casa Bianca. Solo pochi mesi fa lo stesso Trump aveva ventilato l’ipotesi di un reinsediamento forzato dei due milioni di abitanti di Gaza, alimentando le pressioni dei partner più a destra del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ora, al contrario, Washington inserisce nero su bianco che “nessuno sarà costretto a lasciare la Striscia” e che chi vi rimarrà potrà “costruire un futuro migliore”. Il piano, tuttavia, pone condizioni rigide: Gaza dovrà essere trasformata in una “zona de-radicalizzata e libera dal terrorismo”, con la distruzione delle infrastrutture militari sotterranee, la formazione di un corpo di polizia palestinese addestrato da una forza internazionale di stabilizzazione e la supervisione temporanea di un governo di tecnocrati palestinesi sotto l’egida di un nuovo organismo internazionale promosso dagli Usa insieme a partner arabi ed europei. Solo in una fase successiva, a riforma avvenuta, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) potrà assumere un ruolo nella gestione della Striscia. Sul piano umanitario ed economico, il piano prevede un afflusso di aiuti “non inferiore a 600 camion al giorno”, distribuiti da Onu e Mezzaluna Rossa, la ricostruzione delle infrastrutture essenziali e la creazione di una “zona economica speciale” con tariffe ridotte e incentivi agli investimenti. L’obiettivo dichiarato è fare di Gaza un hub di sviluppo e occupazione che scoraggi le spinte alla migrazione. La clausola più politicamente sensibile resta però la numero 20, in cui si fa riferimento a un “percorso credibile verso la statualità palestinese”, subordinato ai progressi nella ricostruzione e nella riforma dell’Anp. Un passaggio che potrebbe incontrare la netta opposizione di Netanyahu, da sempre contrario a qualsiasi prospettiva di due Stati, e al tempo stesso alimentare divisioni all’interno di Hamas, chiamata a scegliere fra resa militare e sopravvivenza politica. Il piano include anche una garanzia alla mediazione di Doha: Israele si impegna a non effettuare attacchi sul territorio del Qatar, riconoscendone il ruolo chiave nei negoziati. È prevista inoltre un’iniziativa di “dialogo interreligioso” per contrastare la radicalizzazione, elemento che conferma la dimensione culturale oltre che militare del progetto. Il presidente Trump si è detto “ottimista” sulla possibilità di un accordo, definendo “intense” le trattative già in corso da giorni. Ma l’implementazione resta incerta: da un lato la riluttanza di Hamas ad accettare il disarmo e l’estromissione dal potere, dall’altro la resistenza di una parte del governo israeliano a qualsiasi riferimento a uno Stato palestinese. Più che una road map definita, il documento appare quindi come un banco di prova: un tentativo americano di tenere aperto un orizzonte politico, in un contesto segnato da ostilità incrociate e fragilità istituzionali. Tuttavia il movimento islamista palestinese Hamas fa sapere di non aver ancora ricevuto alcuna proposta di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. A riferirlo è l’emittente panaraba “Al Araby TV”, che cita una fonte del movimento islamista palestinese.
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