Bolivia, Colombia e Cile alzano il tiro contro Israele
Con il richiamo per consultazioni dell’ambasciatore cileno a Tel Aviv, sono tre i Paesi sudamericani che nel giro di poche ore hanno alzato il tono delle critiche a Israele, in ragione delle conseguenze all’attacco di terra nella Striscia di Gaza. Nella serata di martedì il governo boliviano del presidente Luis Arce aveva annunciato la rottura dei rapporti diplomatici, decisione ricondotta ai “crimini di guerra” attribuiti allo Stato ebraico. Mossa presto censurata da Tel Aviv come una “resa al terrorismo e al regime iraniano degli Ayatollah“. Muovendo questo passo, si legge in una nota del ministero degli Esteri israeliano, “il governo boliviano si allinea con l’organizzazione terroristica Hamas, responsabile della morte di oltre 1.400 israeliani e del rapimento di 240 persone, tra cui bambini, donne neonati e anziani”, prosegue la nota. Per Tel Aviv, “il sostegno della Bolivia al terrorismo e la sua sottomissione al regime iraniano”, sono prova dei “valori rappresentanti” da La Paz. Dal cambio di governo in Bolivia, con l’elezione del neo-socialista Luis Arce, “le relazioni tra i Paesi si sono svuotate di contenuto”.
Nel motivare il richiamo per consultazioni dell’Ambasciatore Jorge Carvajal, il presidente del Cile, Gabriel Boric, ha “condannato energicamente” il fatto che “le operazioni militari, che sono ora diventate una punizione collettiva alla popolazione civile palestinese a Gaza, non rispettano le norme fondamentali del diritto internazionali, come dimostrano le oltre ottomila vittime civili, in gran maggioranza donne e bambini”. Poco prima di richiamare l’ambasciatore, il presidente cileno aveva pubblicato un messaggio in cui denunciava le “420 morti quotidiane” di bambini a Gaza, attribuite “allo Stato di Israele guidato da (Benyamin) Netanyahu. non sono ‘danni collaterali’ della guerra contro Hamas ma sono le loro principali vittime, assieme a civili innocenti, principalmente donne. Fonte? La direttrice dell’Unicef”. Il Paese ha “inviato appoggio umanitario in Palestina, appoggiato azioni che sta promuovendo l’Onu in favore di un cessate il fuoco e continueremo a cercare vie di collaborazione per fermare questo massacro. E se qualcuno ne dubita, tutto questo lo facciamo senza esitare a condannare gli attentati e i sequestri perpetrati da Hamas. Niente giustifica questa barbarie a Gaza. Niente”, ha concluso.
Mossa analoga a quella cilena è stata presa dal presidente della Colombia, Gustavo Petro. “Se Israele non ferma il massacro del popolo palestinese, non possiamo rimanere lì”, ha scritto Petro in un messaggio pubblicato sul proprio profilo X. Il capo dello Stato colombiano aveva criticato Israele sin dalle prime reazioni all’attacco di Hamas. A metà ottobre, Petro aveva ribadito la contrarietà del Paese a ogni forma di “genocidio” dicendosi pronto – se serve – a interrompere le relazioni con Israele. Un annuncio che giungeva al termine di un serrato botta e risposta, durante il quale – tra l’altro – Petro aveva paragonato l’assedio promesso a Gaza con “un campo di concentramento”. Parole cui il ministero degli Esteri israeliano rispondeva convocando l’ambasciatrice a Tel Aviv, Margarita Manjarrez.
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