La Cina fa una legge sulla reincarnazione: ci sono i requisiti per diventare Buddha viventi
Il governo cinese si oppone a qualsiasi tentativo da parte di organizzazioni o individui stranieri di interferire o dettare il processo di reincarnazione del Dalai Lama. Lo scrive in un post su X l’ambasciatore cinese in India, Xu Feihong, in merito alla diatriba in corso sul possibile successore della guida spirituale tibetana. “L(a regione autonoma dello Xizang) è una parte inalienabile del territorio cinese. Il buddismo tibetano trae le sue origini dall’altopiano cinese del Qinghai-Tibet. Le principali regioni in cui si pratica il buddismo tibetano si trovano all’interno della Cina. La stirpe dei Dalai Lama ha preso forma e si è evoluta nella regione cinese del Tibet”, scrive il diplomatico, rivendicando che “il conferimento del loro status e dei loro titoli religiosi è prerogativa del governo centrale cinese” e che “la reincarnazione e la successione del Dalai Lama sono intrinsecamente una questione interna alla Cina”. L’ambasciatore ha spiegato che il governo cinese ha promulgato le “misure di regolamentazione sulla reincarnazione dei Buddha viventi del Buddhismo tibetano”. Il regolamento “stabilisce i requisiti per la reincarnazione dei Buddha viventi, le procedure per l’approvazione della reincarnazione e le rispettive responsabilità delle organizzazioni religiose e delle autorità governative”. Mercoledì 2 luglio, il Dalai Lama ha annunciato che l’istituzione da lui incarnata proseguirà anche dopo la sua morte, confermando l’intenzione di designare un successore e rispondendo così alle richieste di buddisti e sostenitori in esilio e in Tibet. “Confermo che l’istituzione del Dalai Lama proseguirà”, ha affermato, specificando che la responsabilità di identificare la futura reincarnazione spetterà esclusivamente al Gaden Phodrang Trust, con sede in India. “Nessun altro ha l’autorità di interferire”, ha aggiunto. Il leader spirituale tibetano ha più volte affermato che la sua reincarnazione avverrà fuori dalla Cina e ha invitato i suoi seguaci a rifiutare qualsiasi figura indicata da Pechino. In seguito alle dichiarazioni di mercoledì, il governo dell’India ha precisato che “non prende posizione né si pronuncia su questioni relative a credenze e pratiche di fede e religione”; “ha sempre sostenuto la libertà di religione per tutti in India e continuerà a farlo”. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Randhir Jaiswal, in risposta ai resoconti della stampa “relativi alla dichiarazione di Sua Santità il Dalai Lama sulla continuazione dell’istituzione del Dalai Lama”. Pechino considera il Dalai Lama un leader separatista, mentre il leader tibetano si definisce “un semplice monaco buddista”. L’annuncio è destinato ad alimentare le tensioni con la Cina, che secondo molti tibetani in esilio potrebbe nominare un proprio successore per legittimare il controllo sul Tibet.
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