L’arbitra Manuela Nicolosi e i pregiudizi in campo: 'Ho pensato tante volte di mollare, ma avevo un sogno'
Oggi Manuela Nicolosi è una dei talent arbitrali più conosciuti a livello internazionale. Ma il suo percorso per diventare arbitra, perché così si fa chiamare in campo e non “arbitro donna”, non è stato per niente facile a causa dei pregiudizi contro una donna che si occupa di calcio. Dopo aver raggiunto dei record incredibili come aver fatto parte della prima terna arbitrale femminile a dirigere una finale europea maschile ed essere entrata nella squadra di commentatori di DAZN per la nuova stagione, Manuela Nicolosi arriva anche in libreria con Decido io. Dal sogno alla Supercoppa. Nel libro, l’arbitra 44enne racconta il suo percorso, le difficoltà e gli ostacoli affrontati per arrivare infine a coronare il suo sogno. Manuela Nicolosi è stata ospite del Trio Medusa a Chiamate Roma Triuno Triuno su Radio DEEJAY per raccontare la sua storia. Clicca sul player qui sotto per ascoltare l’intervista. Classe 1980, Manuela Nicolosi è una figura di spicco nel mondo arbitrale, riconosciuta sia in Italia che a livello Internazionale. La sua carriera è iniziata a soli 15 anni grazie all’apertura dell’arbitraggio femminile ed è proseguita, dopo uno stop di due anni, in Francia, dove ha vissuto per 13 anni. Qui, come racconta al Trio Medusa, ha superato con successo il concorso nazionale per arbitri: Per diventare arbitro il processo è sempre lo stesso: devi fare un corso, alla fine del corso dai un esame e poi cominci ad arbitrare. Solo che quando inizi ad arbitrare sei completamente sola in campo, perché non hai assistenti fino alla promozione e inizi dai campi di calcio dei giovanissimi. Gli inizi, soprattutto da giovane, non sono stati semplici. I pregiudizi in campo, e attorno al campo, si sono sempre fatti sentire anche in modo pesante: Quindi arrivi sul campo, sei sola e hai i dirigenti uomini, i giocatori uomini e il pubblico, soprattutto, fatto di uomini. Infatti le partite peggiori, dove sono stata più male, sono le prime partite, perché dai genitori – che potevano essere mio papà – ricevevo degli insulti veramente pesanti. E io avevo la stessa età, quasi, dei ragazzi che stavo arbitrando. E ricevere quegli insulti quando sei completamente sola, negli spogliatoi poi rientri e ti scendono le lacrime.
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