Libia: l’Est tenta la spallata contro il governo Dabaiba dopo 70 morti negli scontri a Tripoli

L’Est della Libia tenta la spallata finale al governo di Abdulhamid Dabaiba, approfittando degli scontri armati della scorsa settimana a Tripoli, delle proteste di piazza e delle dimissioni di alcuni ministri. Il presidente della Camera dei rappresentanti di Bengasi, Aguila Saleh, vecchia volpe dell’agone politico libico e figura di spicco vicina a Khalifa Haftar, il generale che nel 2019 tentò di conquistare la capitale “manu militari”, ha usato oggi toni durissimi, dichiarando che è arrivato il momento per Dabaiba di lasciare il potere “volontariamente o con la forza”. Saleh ha definito il governo di Tripoli come “isolato e illegittimo”, già sfiduciato formalmente dal Parlamento nel 2021, e – a suo dire – ora definitivamente delegittimato dal presunto uso di violenze contro i manifestanti disarmati. Secondo la Commissione parlamentare Difesa, il bilancio delle recenti violenze a Tripoli ha raggiunto 70 morti, di cui sei civili. L’uso di armi da fuoco contro civili è stato definito da Saleh una “tragedia e un crimine che richiede una svolta politica immediata”, attribuendone la responsabilità politica a Dabaiba. Intanto, la stampa della Libia orientale ventila già qualche indiscrezione sui nomi per sostituire Dabaiba alla guida di un possibile nuovo governo. Emergono personalità come Salama Ibrahim al Ghweil, ex ministro degli Affari economici, Abdelbaset Mohamed, figura indipendente di Misurata, Abdelhakim Ali Ayu, già candidato alle presidenziali con posizioni vicine ad Haftar, Othman Adam al Basir, tecnocrate con esperienza internazionale in Canada, Ali Mohamed Sassi, politico emergente dalla Cirenaica, e Othman Abdeljalil, già ministro dell’Istruzione e ora della Sanità nel governo dell’est. Completano la lista Fadhel al Amin, esperto di sviluppo e già attivo nella diaspora, Mohamed al Mazoughi, figura di compromesso apprezzata trasversalmente, Mohamed Abdelatif al Muntasir, ex membro del Consiglio nazionale di transizione e imprenditore, Nasser Mohamed Weiss, tecnico poco noto ma apprezzato, e infine Issam Mohamed Bouzreiba, generale e ministro dell’Interno del governo orientale, vicino ad Haftar. Non tutti, però, sono d’accordo con la linea dura di Saleh. Un gruppo di 26 deputati della Cirenaica ha infatti espresso il proprio netto rifiuto alla formazione di un nuovo governo senza un accordo politico nazionale condiviso. In una dichiarazione congiunta, i parlamentari hanno ammonito sui rischi derivanti da “decisioni unilaterali” per la riuscita di progetti infrastrutturali e di sviluppo e per la tenuta della stabilità politica. Secondo questi deputati, ogni cambiamento governativo dovrebbe avvenire attraverso un “processo politico inclusivo e basato sul consenso nazionale”. Nel frattempo, a Tripoli la situazione sul terreno sembra lentamente tornare alla normalità, almeno temporaneamente. Dopo giorni di violenti scontri armati che hanno paralizzato la capitale, le attività scolastiche e gli esami sono ripresi regolarmente nelle municipalità di Souk al Juma (roccaforte della milizia Rada, presa di mira dal premier Dabaiba) e Ain Zara. Le amministrazioni locali hanno assicurato che saranno prese tutte le misure necessarie per recuperare le attività didattiche interrotte, confermando anche che la maggior parte delle strade e delle attività commerciali ha riaperto. Il ministero della Difesa del governo Dabaiba afferma che gli sforzi per mantenere il cessate il fuoco restano stabili e che vi è un coordinamento continuo con tutte le forze militari regolari per garantire la sicurezza e la stabilità a Tripoli. La tenuta della tregua è stata agevolata dall’istituzione di una Commissione per la tregua promossa dal Consiglio presidenziale libico, organo tripartito che svolge le funzione di “capo di Stato” e che in questa fase di incertezza potrebbe giocare un ruolo di primo piano in collaborazione con la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil). Il generale Mohamed al Haddad, capo di Stato maggiore delle Forze armate della Tripolitania, ha il compito di monitorare e consolidare il cessate il fuoco permanente. La tensione, nonostante le rassicurazioni del governo tripolino, rimane altissima. La Brigata 444, vicina a Dabaiba, ha denunciato pubblicamente i crimini attribuiti ad Abdulghani al Kikli, detto “Ghaniwa”, il potente leader della milizia Apparato di sostegno alla stabilizzazione recentemente ucciso in un agguato. La brigata ha rinvenuto una fossa comune ad Abu Salim, sobborgo meridionale di Tripoli e roccaforte di Kikli, con dieci corpi carbonizzati, tra cui quello di una giovane donna precedentemente rapita. Un fatto che confermerebbe la brutalità delle milizie armate fuori controllo. La Brigata 444 ha inoltre accusato Ghaniwa di essersi avvalso di mercenari provenienti dall’Europa orientale e di aver importato grandi quantità di munizioni, con il sostegno di Paesi stranieri non meglio precisati. Un ulteriore segnale di allarme arriva dalla Corte penale internazionale (Cpi), che ha reiterato la richiesta di arresto contro Osama Najim al Masri, già capo della Polizia giudiziaria libica rimosso da Dabaiba, accusato di 12 reati gravissimi tra cui omicidio, stupro, tortura e persecuzione ideologica ai danni di migliaia di detenuti nel carcere di Mitiga. Le autorità di Tripoli si sono impegnate a collaborare pienamente con la giustizia internazionale sul caso Al Masri, circostanza che rappresenta una novità in un Paese che non ha mai aderito allo Statuto di Roma e che ospita un altro ricercato eccellente come Saif al Islam Gheddafi. In questo delicato scenario, il premier Dabaiba ha ricevuto gli ambasciatori europei accreditati a Tripoli, tra cui l’italiano Gianluca Alberini, per ribadire l’impegno del suo governo nella lotta contro le milizie illegali e nella cooperazione con la comunità internazionale per stabilizzare la Libia. Gli stessi diplomatici hanno incontrato anche membri del Consiglio presidenziale, lasciando aperti scenari politici imprevedibili. La comunità internazionale sta guardando con preoccupazione agli sviluppi in Libia. Basti pensare che la visita in Italia della rappresentante speciale Onu, Hanna Tetteh, è stata rimandata a causa dell’instabilità. Hakan Fidan, il ministro degli Esteri della Turchia – il Paese che vanta forse la presa più forte sulle milizie della Tripolitania e che ha recentemente aperto all’invio di armi anche all’Est guidato da Haftar – ha ribadito in un’intervista a “Jeune Afrique” la necessità di un governo unificato e di elezioni simultanee presidenziali e parlamentari, evidenziando la propria azione diplomatica per prevenire un conflitto armato su larga scala. Il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, ha reiterato l’urgenza di un governo credibile e condiviso, affrontando la questione libica in colloqui al Cairo con il consigliere del presidente statunitense Donald Trump per gli affari arabi e africani, Massad Boulos. Infine, l’ambasciata degli Stati Uniti in Libia ha pubblicamente smentito uno scoop di “Nbc News” – divenuto in breve tempo virale in Libia, anche perché curiosamente diffuso mentre infuriavano le proteste a Tripoli – sul presunto piano degli Stati Uniti di trasferire fino a un milione di palestinesi dalla Striscia di Gaza al Paese nordafricano. Il progetto, secondo la testata statunitense, prevedrebbe il rilascio di miliardi di dollari di fondi libici congelati da oltre un decennio in cambio dell’accoglienza dei rifugiati. Secondo fonti citate da “Nbc News”, l’amministrazione Trump avrebbe discusso il piano con la leadership libica, sebbene non sia stato raggiunto alcun accordo definitivo e una simile ipotesi sia già stata smentita dalle autorità di Tripoli.
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