Dieci anni di Sergio Mattarella al Quirinale

Feb 2, 2025 - 07:31
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Dieci anni di Sergio Mattarella al Quirinale

Dieci anni al Quirinale, da rappresentante dell’unità nazionale, garante della Costituzione e del ‘patto sociale’ che questa rende possibile, arbitro imparziale e – alle volte ‘meccanico’ che ‘cassetta degli attrezzi’ alla mano ‘interviene per riparare, per rimettere in funzionamento il sistema che si è inceppato’. Sergio Mattarella viene eletto per la prima volta presidente della Repubblica il 31 gennaio 2015 (al quarto scrutinio, con 665 voti) e giura il successivo 3 febbraio. E’ l’inquilino più longevo del Palazzo dei Papi, dal momento che Giorgio Napolitano – anche lui capo dello Stato per due mandati – si è dimesso dopo meno di due anni dalla seconda elezione. Nel 2015 a palazzo Chigi c’è Matteo Renzi che, sul nome di Mattarella, rompe il ‘patto del Nazareno’ con Silvio Berlusconi sulle riforme costituzionali. Nel suo primo discorso di insediamento, di fronte al Parlamento riunito in seduta comune, il Capo dello Stato si dice consapevole della responsabilità del compito che gli è stato affidato. “La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto. L’unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno. Ma anche – sottolinea – l’unità costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana. L’impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze”. Il Paese è alle prese con una crisi economica che dura da anni, che ha indebolito il sistema produttivo, aumentato le diseguaglianze e le ingiustizie, creato nuove povertà e solitudini e Mattarella lancia il suo primo ‘monito’ a chi siede di fronte a lui. “Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione”, dice chiaro. Quel patto, insiste, va confermato perché “mantiene unito il Paese, riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza”. Il neoeletto Capo dello Stato lega sin da subito due temi che ricorreranno spesso nei discorsi fatti nel suo decennio sul Colle più alto, l’unità del Paese e la speranza con cui costruirne il futuro. “Parlare di unità nazionale significa ridare al Paese un orizzonte di speranza”, scandisce. Ci sono poi altre due ‘categorie’ che Mattarella tiene insieme sin dal principio: democrazia e bene comune. “In queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del Paese”, dice rivolgendosi a parlamentari e rappresentanti del Governo. Di più. “Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti”, dice chiaro, ricordando poi che “la democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente” e che la Costituzione va riformata “per rafforzare il processo democratico”. La riforma targata Renzi è in Parlamento per il percorso di approvazione e Mattarella non entra nel merito. Piuttosto chiarisce sin da subito il suo ruolo, vestendo i panni dell’arbitro. “E’ un’immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale”, assicura chiedendo ai “giocatori” di aiutarlo “con la loro correttezza”. Non solo, però. L’indicazione di quella che sarà la stella polare del suo mandato è netta: “Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione’ e ‘la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno”. Nel corso del primo mandato Mattarella affronta 4 crisi di Governo: dopo le dimissioni di Renzi, proprio per il referendum costituzionale perduto, conferisce l’incarico a Paolo Gentiloni; poi, a fine 2017 scioglie le Camere e, dopo le elezioni politiche del 2018, non senza scontri (vedi il mancato arrivo a via XX settembre dell’anti euro Paolo Savona) fa giurare nelle sue mani il Governo giallo-verde presieduto da Giuseppe Conte. Nell’agosto 2019 l’intesa tra M5S e Lega va in crisi, il premier pentastellato si dimette e Mattarella avvia nuove consultazioni. Alla fine Conte rimarrà presidente del Consiglio, sostenuto questa volta, oltre che dal suo partito, da Pd e Leu. Il 2020 è l’anno della pandemia. Il Capo dello Stato è in prima linea nella chiamata alla responsabilità. La sua fotografia della deposizione, in assoluta solitudine, di una corona d’alloro in un Altare della Patria deserto, il 25 aprile, diventa storia; così come, l’anno successivo, la scelta di vaccinarsi come un cittadino comune, allo Spallanzani di Roma; o il fuori onda mentre si rivolge al suo portavoce che lo avverte di un ciuffo fuori posto: “Eh Giovanni, non vado dal barbiere neanche io“. Le successive consultazioni al Quirinale, dopo che Matteo Renzi fa dimettere la delegazione di Iv al Governo, si svolgono ancora con le mascherine. Mattarella chiama al Colle Mario Draghi, che guiderà un Governo tecnico sostenuto da tutte le forze in Parlamento tranne FdI e Sinistra italiana. Nei retroscena dei quotidiani, un anno dopo, è proprio l’ex numero uno della Bce ad essere tra i favoriti per succedere a Mattarella al Colle. L’operazione, però, non va in porto. Sette scrutini vanno a vuoto. All’ottavo, il Parlamento ritrova l’unità, ancora una volta, sul nome di Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato ottiene 759 voti su 1009 elettori, risultando così il secondo presidente eletto con il maggior numero di voti nella storia repubblicana dopo Sandro Pertini (eletto con 832 voti su 1011). Dopo aver detto no a un bis in diverse circostanze – ora citando la proposta di Antonio Segni di introdurre l’ineleggibilità immediata al Quirinale, ora rivelando a dei bambini di dieci anni di essere “stanco” e di potersi “finalmente riposare” alla scadenza del mandato – Mattarella si trova, quindi, a disfare gli scatoloni pronti per la casa presa in affitto ai Parioli e a restare nel Palazzo dei Papi. “È per me una nuova chiamata – inattesa – alla responsabilità; alla quale tuttavia non posso e non ho inteso sottrarmi – esordisce l’inquilino del Colle ritornando di fronte al Parlamento – La lettera e lo spirito della nostra Carta continueranno a essere il punto di riferimento della mia azione”. Non nasconde di aver trascorso “giorni travagliati” ma poi torna subito al lavoro e sferza i parlamentari: parla delle urgenze – sanitaria, economica, sociale. “Non possiamo permetterci ritardi, né incertezze’, dice chiaro. Il Capo dello Stato chiede allora ‘il concorso di ciascuno’ per ‘costruire l’Italia del dopo emergenza”. Mancano venti giorni all’avvio dell’aggressione russa in Ucraina. Mattarella ricorda “il dividendo della pace” di cui l’Ue gode da decenni, ma avverte: “Non possiamo accettare che ora, senza neppure il pretesto della competizione tra sistemi politici ed economici differenti, si alzi nuovamente il vento dello scontro – scandisce – Dobbiamo fare appello alle nostre risorse e a quelle dei Paesi alleati e amici affinché le esibizioni di forza lascino il posto al reciproco intendersi, affinché nessun popolo debba temere l’aggressione da parte dei suoi vicini”. Non solo la politica, però: Mattarella, accende il faro anche sul “profondo processo riformatore” che “deve interessare anche il versante della giustizia”, divenuto “un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività”. I cittadini, è la sottolineatura, “devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone. Va sempre avvertita la grande delicatezza della necessaria responsabilità che la Repubblica affida ai magistrati”. Mattarella chiude poi il suo intervento citando David Sassoli e il suo “La speranza siamo noi”. E’ un ‘credo’ che l’inquilino del Colle condivide e che ha ribadito e fatto suo nell’ultimo discorso di fine anno agli italiani. Perché la scelta quotidiana, di un uomo di 83 anni che ha vissuto con abiti diversi tre Repubbliche – è sempre quella, anche in tempi difficili, di non “arrendersi allo sconforto” e di “aver fiducia nel futuro” e soprattutto nei giovani. E’ con loro che spesso, specie nel secondo mandato, si è aperto di più, confidando alcuni piccoli ‘segreti’. “Mi hai chiesto se mi è capitato di dovere adottare decisioni che non condivido. Sì, in quasi dieci anni di svolgimento di questo ruolo mi è capitato più volte”, ha risposto a un ragazzo in occasione dell’incontro con l’Osservatorio dei giovani editori “sorrido quando mi si fanno appelli a non promulgare una legge perché è sbagliata. Se è palesemente incostituzionale, ho il dovere di non promulgarla, ma se è sbagliata, non sono io chiamato dalla Costituzione a giudicare se è giusto o no, ma il Parlamento”, l’insegnamento. Maggioranza e opposizione, in effetti, negli anni, non hanno mancato di ‘tirare per la giacchetta’ il presidente della Repubblica per combattere battaglie di parte. E’ successo anche da quando a palazzo Chigi, dopo le elezioni del 2022, c’è Giorgia Meloni. L’inquilino del Colle, però, ha sempre ribadito il suo ruolo: “Ho detto che il Presidente è come un arbitro ma ho invitato anche i giocatori ad aiutarlo nell’applicazione delle regole. Perché – la lezione che valeva nel 2015 come oggi – questa coralità nel rispetto delle regole è fondamentale”. E la Costituzione resta la via maestra.

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Giò Barbera Giornalista iscritto all’elenco dei “Professionisti” dal 2003. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Liguria dal 1991 come pubblicista fino al 2003 quando ha superato l’esame a Roma per passare ai professionisti. Il suo primo pezzo, da album dei ricordi, l’aveva scritto sul ‘Corriere Mercantile’ (con l’edizione La Gazzetta del Lunedì) nel novembre del 1988. Fondato nel 1824, fu una delle più longeve testate italiane essendo rimasto in attività fino al luglio del 2015. Ha collaborato per 16 anni con l’agenzia Ansa, ma anche con Agi, Adnkronos, è stato corrispondente della Voce della Russia di Radio Mosca, quindi ha lavorato con La Repubblica, La Padania, Il Giornale, Il Secolo XIX, La Prealpina, La Stampa e per diverse emittenti radiofoniche come Radio Riviera 3, Radio Liguria International, Radio Babboleo, Lattemiele, Onda Ligure. E' direttore del portale areamediapress.com e di Radiocom.tv